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Una città povera. Di cultura

TARANTO – La sorpresa sarebbe stata se avesse vinto un prodotto davvero professionale. La grafica non si improvvisa, è un’arte nella quale sono impegnati fior di professionisti e di agenzie. Non si improvvisa soprattutto se il suo prodotto deve avere una funzione istituzionale. Come il banner “Benvenuti a Taranto”, che ha scatenato polemiche e feroce ironia soprattutto sui social network. Rassegnamoci: se sul Lago d’Iseo il Floating Piers di Christo sta calamitando decine di migliaia di visitatori, alle porte di Taranto i decisamente meno visitatori saranno accolti dal banalissimo banner consacrato vincitore qualche giorno fa. Certamente non sarà un’attrazione. Al Comune non sono riusciti a tirar fuori nulla di meglio. Occasione perduta? Forse. Nulla di sorprendente, tuttavia. A queste latitudini l’arte e la cultura faticano ad affermarsi e soprattutto si fatica a comprendere che possono portare lustro e denaro alla città. Ribadiamo: la sorpresa sarebbe stata se avessimo visto un’opera di più alto profilo e non il prevedibile e dozzinale minestrone di prodotti tipici (a proposito, ma che c’entra il fiasco? Sarebbe stato sufficiente documentarsi anche solo su Wikipedia per “scoprire” che quello è il contenitore tradizionale del vino toscano) e monumenti rappresentativi (e perché allora escludere il ponte girevole? E che c’entra la sirenetta, simbolo di Copenaghen, che qui abbiamo scimmiottato senza essere la patria di Hans Christian Andersen?). Insomma, è di una drammatica evidenza l’assoluta assenza di studio e di approfondimento culturale dietro la creazione del banner che dovrebbe accogliere e salutare i visitatori della città. Chiariamo: non è un problema di amministrazione Stefàno. A Taranto la povertà culturale di certe scelte così importanti è atavica. Potremmo scomodare, per andare più lontano nella storia, le demolizioni selvagge: dalla Villa Capecelatro alla Torre di Raimondello Orsini fino al pittaggio Turripenne. In queste settimane di celebrazioni paisielliane è tornata d’attualità la sconcertante bocciatura del monumento a Paisiello disegnato dallo scultore Nino Franchina, una delle più importanti figure italiane dell’astrattismo: troppo ardita venne considerata la sua opera (eravamo nel 1957) e gli fu preferito il modestissimo busto che oggi troneggia sulla Discesa Vasto. In tempi più recenti venne cestinata la proposta progettuale di un altro grande scultore italiano: Giò Pomodoro, altro talento dell’astrattismo consacrato a livello internazionale. Nel 1989 propose di trasformare Piazza Castello in una opera d’arte complessiva, con richiami alla Magna Grecia e alla scuola pitagorica. Ovviamente non se ne fece nulla. In compenso in Piazza Castello ci ritroviamo parcheggi che ruotano intorno ad un piedistallo tanto inutile quanto pacchiano. Imbarazzante. E se oggi possiamo contare su un’opera d’arte apprezzata nel mondo come la Concattedrale di Giò Ponti lo si deve solo alla caparbietà e alla lungimiranza di monsignor Guglielmo Motolese. Ma il valore artistico della Gran Madre di Dio continua a sfuggire ai più, soprattutto agli amministratori che negli anni ‘90 coprirono le vasche per ricavarne un parcheggio: il trionfo dell’ignoranza più becera. E che dire della tanto maltrattata Piazza Fontana di Nicola Carrino? Potrà anche non piacere, ma resta la preziosa testimonianza di uno dei pochissimi artisti tarantini conosciuti e riconosciuti anche all’estero. Se questo, dunque, è il retroterra culturale, ci si poteva aspettare di più dal banner di benvenuto?