«Agli ignoranti si parla», ha scritto qualche giorno fa Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, entrando in una controversa discussione aperta da un articolo di David Harsanyi su The Federalist. Si partiva dalla Brexit per dire che «elettori disinformati producono disastri epocali» e che «per votare servirebbe l’esame di cittadinanza». Già, l’esame di cittadinanza. Quello che andrebbe fatto agli autori degli scempi compiuti in via Japigia, in viale del Tramonto e in tutti quegli angoli della città dove – inefficienze dell’Amiu a parte – sono visibili scene di ordinaria inciviltà. Fenomeni così dilaganti da aver abbondantemente superato la soglia d’allarme. Taranto, sotto questo profilo, con il suo carico di teppisti, incivili, abusivi, ha superato la soglia di guardia. In questi atti c’è ignoranza, disprezzo per la civiltà, mancanza di amore per la propria città. In un contesto così squallido sembra surreale dover parlare di futuro, di emancipazione dalla grande industria, di turismo e di cultura. Qui mancano i fondamentali.
Agli ignoranti si parla, certo. Perché poi gli stessi ignoranti-incivili sono quelli che attraverso il loro voto contribuiscono ad esprimere il governo della
città e del Paese. E cosa può esprimere chi ha come proprio orizzonte culturale il rovesciamento dei cassonetti sui marciapiedi con tutto il loro carico di immondizia? E allora, sì, agli ignoranti e incivili bisogna pur parlare. Ma serve l’autorevolezza della politica per farlo. A Taranto, purtroppo, latita pure questa.
Che fare allora? Arrendersi a questa umiliante regressione civile? No. Una possibilità c’è: l’impegno delle persone migliori della città, quelle istruite e con un solido bagaglio professionale da spendere.
Senza una svolta di questo tipo, c’è il rischio di doversi arrendere al trionfo dei bifolchi. Della politica e della strada.