La trattativa Governo-ArcelorMittal-sindacati, da una parte, e il concertone tarantino del Primo Maggio, dall’altra, ripropongono da diversi punti di vista il tema del rapporto tra città e grande industria.
Il concertone, pur nel suo clima festoso e molto atteso dalla città, purtroppo non riesce ad emanciparsi da una visione ideologicamente antagonista, sovente infarcita di slogan, luoghi comuni e persino offese, come dimostrano le dichiarazioni contro le forze dell’ordine sulle quali si è abbattuta la ferma e inequivocabile condanna del prefetto. Una condizione, questa, che se non sarà superata costringerà la pur apprezzabile energia che si muove intorno al concerto ad essere relegata ad un ruolo marginale e velleitario.
Dall’altra parte c’è la trattativa che fa segnare tensioni preoccupanti, come riportano le cronache di questi giorni.
Ma può una vertenza che, comunque vada, cambierà le sorti di Taranto, essere racchiusa in una mera trattativa sindacale? No, di certo. Il rapporto tra grande industria e territorio non può essere confinato ad una sola questione di esuberi e di cifre. Il rapporto, nel suo complesso, va ridiscusso sulla base di un disegno preciso di città che si vuole realizzare. Non è più possibile che industria e territorio vivano, come accade da troppi anni, come entità separate in casa.
E allora, partiamo da un presupposto: l’Ilva – ma il discorso vale anche per Eni e Cementir – non chiuderà. Oggi – lo ha opportunamente sottolineato il sindaco Rinaldo Melucci in una recente intervista, non c’è alcun partito che si pronunci per la chiusura dell’Ilva. Neanche il M5S. Lo ha fatto capire Di Maio nella sua puntata tarantina in campagna elettorale, lo sancirebbe ogni ipotesi di governo che dovesse vedere alleato il M5S con la Lega o con il Pd. Ipotesi, queste ultime, che escluderebbero alla radice un programma che preveda la chiusura della più grande acciaieria d’Europa. Quindi è pacifico ritenere che con la presenza industriale Taranto dovrà continuare a fare i conti ancora per anni. E allora, come impostare questo rapporto? Un passaggio indicativo è l’accordo di programma siglato da Comune, Eni e la joint venture Total-Mitsui per il progetto Tempa Rossa: le aziende si impegnano a sostenere progetti culturali ed economico-sociali. Ma questa traccia non può essere solo una misura compensativa, perché il presupposto ineludibile di ogni corretto rapporto con la grande industria non può che essere la salvaguardia dell’ambiente e della salute. Dalla grande industria bisogna pretendere di più, molto di più. Bisogna pretendere un coinvolgimento nei progetti di crescita culturale e sociale della città: sostegno ad eventi, ad attività di ricerca, a corsi universitari incisivi. Con trasparenza, alla luce del sole, senza pregiudizi e senza timore di inciuci. Con l’autorevolezza che una città unita può esprimere, scrollandosi di dosso vittimismo e inclinazione al lamento e riappropriandosi del ruolo di protagonista del proprio destino.
Del resto, un rapporto positivo tra industria e città esiste già ed è quello con la Marina Militare. Quella stessa industria militare che a fine ‘800 impose la sua presenza con l’insediamento dell’Arsenale dando inizio alla storia industriale della città. Un impatto niente affatto indolore: pensiamo al saccheggio del territorio per la costruzione dello stabilimento militare, alla distruzione del patrimonio archeologico, alle nefaste conseguenze per i pescatori prima con l’inquinamento del Mar Piccolo prodotto dalle lavorazioni in Arsenale, poi con l’occupazione della costa di Chiapparo per la costruzione della nuova base navale. Per non dire dei fin troppo sottaciuti morti per mesotelioma che si contano tra quanti hanno lavorato in quegli ambienti. La Marina Militare, però, in modo molto più intelligente di quanto abbia fatto l’Ilva di Riva, ha saputo presentare alla città il suo volto migliore, riuscendo, grazie alla formidabile intuizione dell’ammiraglio Ricci, a trasformare il Castello Aragonese da mero presidio militare a superstar delle attrazioni turistiche cittadine. E lo stesso Arsenale si è nel frattempo aperto ad iniziative di pregio formativo e culturale. Oggi nessuno si sognerebbe di mettere al bando la Marina Militare o di non accettarla come sponsor di manifestazioni culturali, come peraltro già avviene. E allora probabilmente è questo il solco da seguire. Solco che, per compiti istituzionali, tocca alla massima espressione della comunità – il sindaco – cominciare a tracciare. Melucci, che ha già firmato l’accordo con gli attori di Tempa Rossa e che ha saputo sottrarsi all’ombra populista di Michele Emiliano, ha imboccato un percorso di sano pragmatismo. Ora serve più coinvolgimento della città, perché – come dicevamo – una città unita può presentarsi con diversa autorevolezza al tavolo con la grande industria. Per essere protagonista e non più per subire.