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​Un’estate tra antiche atmosfere e sapori​

In estate, soprattutto, complice
il bel tempo (clima
tendente ormai al monsonico
permettendo) vanno di
moda le rievocazioni storiche;
che in Italia, per varie ragioni, tendono
a privilegiare il Medioevo.

A Taranto, per esempio, ha il suo
centro di gravità un gruppo assai
ferrato nella rievocazione della
civiltà medievale, I Cavalieri de li
Terre Tarentine, animato da Vito
Maglie, che spazia anche in altre
epoche storiche (Magna Grecia,
per esempio), ma che indubbiamente
nell’Età di Mezzo il suo terreno
preferito. E spesso in occasione
delle rievocazioni si tenta di
riproporre la cucina medievale.
Impresa non facile, per vari motivi.
I gusti sono cambiati, certo; ma
soprattutto Medioevo dove? E
quando, su un arco di mille anni?
La cucina medievale che noi
conosciamo meglio è quella di
corte, degli ultimi secoli, XIII-XV.
Abbiamo libri in Latino, Francese,
Tedesco, Inglese, Volgare italiano.

Le tendenze di questa cucina
sono molto simili (i cuochi professionisti
giravano per le corti, così
come i nobili che si imparentavano
anche su grandi distanze):
non esiste un vero e proprio ordine
delle pietanze; non esiste la
distinzione fra piatti dolci e salati;
le carni sono in grandissimo onore
e devono essere ben cotte e
guarnite da salse e condimenti
dove spiccano l’agrodolce e il
dolce-salato. Molte combinazioni
di ingredienti non rispondono
a precetti di gusto ma a prescrizioni mediche, legate alla dottrina
degli umori, tuttora in grande
considerazione. Sono “ricette”
farmaceutiche, potremmo azzardare,
più che culinarie. Molte
però funzionavano sul piano del
gusto, e noi le abbiamo ereditate:
abbinamento dolce-salato e
carne-frutta? Il più semplice e duraturo
è, per esempio, quello del
melone col prosciutto.
Ma il lascito più importante del
Medioevo coquinario è la pasta,
che l’Antichità non conosceva se
non in forme rudimentali.

Nel Medioevo
la pasta, invece che fritta o
al forno, comincia ad essere lessata
in differenti liquidi di cottura, a
partire dal più semplice, l’acqua.
Nasce nel Medioevo la tripartizione
fra pasta fresca, da consumare
subito perché deperibile; pasta
secca, a lunga conservazione (e
forse la dobbiamo agli Arabi); pasta
ripiena. Comincia nel Medioevo
anche ad affermarsi lo stranissimo
concetto di “pasta asciutta”,
che continuiamo ad adoperare
come definizione (anche se ormai
sempre meno): è la pasta
che dopo cottura in acqua viene
scolata (quindi resta asciutta) e
poi condita a piacere (certo non
con salse di pomodoro, che è ortaggio
americano e che entrerà
oltretutto in cucina, guardato con
iniziale diffidenza, solo nel XVIII
secolo inoltrato).

Altra grande
caratteristica dalla gastronomia
medievale, l’onnipresenza delle
spezie, per motivi ostentativi ma
anche “medici”. Spezie che arricchiscono
il formaggio grattugiato
col quale condire maccheroni e
gnocchi (pepe, noce moscata,
chiodi di garofano); spezie che trasformano il vino in ricostituente,
l’Ippocras, che prende il nome
addirittura da Ippocrate (e che
comunque è un lascito grecoromano,
stavolta); spezie candire
e confettate (come usa ancora
oggi in India) per chiudere il pasto
e favorire la digestione. L’unica,
vera, grande distinzione fra i
pasti era quella fra giorni di grasso
e giorni di magro: che fece
nascere bislacche ricette in cui i
latticini il burro e il latte venivano
sostituiti, per esempio, col latte di
mandorla, o altre al limite del disgusto
come le crostate con anguilla
zuccherata al posto di creme
a base d’uova.