TARANTO – Dalla Confindustria di Taranto riceviamo e pubblichiamo.
Mai come in questo momento la Confindustria di Taranto sta impegnando tutti i suoi sforzi e le sue risorse per dare risposte al territorio ed alla grande crisi che, come in tutto il territorio nazionale, sta investendo le imprese.
Attenzione, però: non lo sta facendo col cappello in mano, chiedendo alla grande industria qualche “spicciolo” tradotto magari in microappalti o subappalti. Che piaccia o no, Confindustria è uscita da tempo dalle vecchie logiche dell’assistenza e punta, non certo da adesso, a quelle più ampie della diversificazione produttiva, dell’innovazione, laddove possibile anche dell’export.
Sono molte le aziende che già da anni assecondano questo nuovo corso, e sono quelle che oggi la crisi la sentono, la subiscono ma, contrariamente ad altre, riescono ad affrontarla perché fiduciose nelle prospettive che da sole sono riuscite a creare al loro interno.
Lo sforzo di Confindustria Taranto è, oggi, quello di condurre anche tutte le altre, meno vocate alla diversificazione e più legate alle logiche tradizionali della (più spesso piccola) impresa, ad un diverso approccio al mercato. Lo sta facendo ponendosi come soggetto propositore e talvolta anche esecutore, attraverso progetti di largo respiro, come la “Smart Area”, che non è l’ultima trovata degli industriali per autopromuoversi ma è una proposta di futuro possibile attualmente sui tavoli di Palazzo Chigi; attraverso tre contratti di rete già operativi, un consorzio che annovera già 50 imprese, logiche di filiera che non sono concetti astrusi bensì le uniche chiavi di volta per uscire dalle secche della recessione.
E’ davvero singolare che non si voglia riconoscere quanto un’associazione riesca a fare sul territorio uscendo, addirittura, dal solo ruolo di tutela delle aziende associate, (che è parte fondamentale ed acclarata dell’ammnini-strazione quotidiana della Confindustria) e non si guardi invece alle lotte talvolta solitarie che la stessa porta avanti sul territorio. Perché è questo il vero ostacolo che al momento l’associazione degli industriali deve poter superare: la mancanza di partners con cui rilanciare, a testa alta e, lo ripetiamo, senza cappelli in mano, le sacrosante richieste di un territorio con enormi potenzialità ma ancora scarsissima programmazione.
In questo momento, in cui il Governo e la stessa Confindustria nazionale esprimono nei confronti di Taranto particolari attenzioni, l’associazione di via Dario Lupo è doppiamente impegnata a non allentare la presa, capitalizzare l’attenzione e ottimizzare gli sforzi.
Ma non può farlo da sola. E’ il motivo per il quale abbiamo ufficialmente richiesto al sindaco – richiesta condivisa e accettata – di farsi portavoce unico, a livello territoriale e centrale, di una serie di istanze del tessuto cittadino ed imprenditoriale, perché siamo fortemente convinti che non è salvando l’Ilva che si salva il territorio, bensì il contrario. E’ tutto un sistema che va rivisto, rivitalizzato, incentivato. E’ il sistema Taranto, fatto di piccole e grandi imprese e della loro capacità di competere forti però del ruolo di protezione, di valorizzazione e di tutela che solo un contesto istituzionalmente forte e coeso può garantire, come avviene in realtà ben meno industrialmente attrezzate della nostra.
Ecco qual è, oggi, il nostro impegno, condotto sicuramente senza strombazzamenti e proclami ma non certo in silenzio.
Ringraziamo pertanto Taranto Buonasera per averci dato l’opportunità di una precisazione forse per alcuni versi superflua ma comunque sempre opportuna quando ci si sente, a torto o a ragione, chiamati in causa come è avvenuto nell’articolo che ci ha fornito lo spunto di questa riflessione.
“Così l’Ilva fa fallire il territorio”, titola lo stesso articolo, purtroppo senza firma, apparso ieri sulla vostra testata. All’interno in realtà non c’è scritto come, avvenga tale fallimento, tant’è che anche chi scrive dichiara, candidamente: “Non sappiamo se e quante fatture ci siano e se siano inevase né da quanto tempo”. Il riferimento è chiaramente alla situazione di semipa-ralisi che interessa il centro siderurgico ma all’interno del pezzo, in realtà, di Ilva si parla poco, perché il problema è ovviamente un altro.
Aziende che chiudono, Ilva o non Ilva, cassa integrazione e mobilità per migliaia di lavoratori. E’ questo lo scenario che ci interessa, e le motivazioni non sono certo, o almeno non soltanto, in quelle fatture inevase. Il problema va purtroppo molto oltre.
Taranto non è solo Ilva, e lo sappiamo bene. C’è un territorio che rischia la desertificazione industriale, concetto ampiamente espresso da noi più volte, a chiare lettere nella nostra ultima assemblea, ancor più chiaramente nelle varie occasioni in cui facciamo sentire la nostra voce.
E’ questa la battaglia che conduciamo da anni: evitare che tutto ciò accada, prima che sia troppo tardi. Favorire gli investimenti, rilanciare il comparto industriale, vecchio e nuovo, nella logica della diversificazione, creare nuove nicchie di mercato.
Lo stiamo faticosamente facendo, continueremo a farlo. Ma non può essere una battaglia solitaria. Stiamo chiamando a farla con noi un intero territorio, e auspichiamo in una risposta.
L’alternativa è un lamento polemico che non siamo più disposti a sentire, tranne da chi ne ha davvero le ragioni per farlo, e tantomeno a leggere, specialmente se chi scrive vorrebbe salvare la patria, ma in realtà dà solo sfogo ad un puro, trito e ritrito, esercizio retorico.