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«La Mafia degli Anni ’90 è finita. Oggi sono solo cani sciolti»

Con riferimento alla relazione annuale della Dda di Lecce sul dilagare del fenomeno mafioso nella provincia tarantina, connesso al ritorno sul territorio di personaggi storici condannati nei maxi processi degli anni ’90, non posso che esprimere un giudizio ancorato alla attuale situazione criminale così come emersa nelle inchieste che fino a pochi mesi fa hanno scrupolosamente visto la magistratura tarantina e salentina esprimersi sulla esistenza di consorterie mafiose.

Non v’è dubbio che è la Direzione Investigativa Antimafia e la DDA, rappresentino la guardia per la collettività avverso i fenomeni mafiosi, per cui il loro impegno in tal senso rappresenta una grande conquista civile e tale guardia deve sempre rimanere alta, per evitare di sottovalutare fenomeni criminogeni che possono stravolgere l’assetto degli equilibri economici e sociali della collettività.

Pur tuttavia ritengo che attualmente, dopo il grande lavoro ed impegno profuso dalla magistratura inquirente  tarantina e salentina negli ’90 con le grande inchieste che hanno visto decapitare il fenomeno della gestione organizzata degli affari illeciti, risulti difficile poter sostenere che sussista il ritorno di organizzazioni criminali di tale caratura e tale da determinare un controllo egemone sul territorio come quello degli anni ’90.


Di certo Taranto in quegli anni ha fatto molto parlare a livello nazionale, e successivamente i processi hanno delineato l’esistenza di radicate associazioni che gestivano in maniera capillare il territorio, e rappresenta oramai patrimonio giudiziario consolidato che in quegli anni a Taranto esistessero delle organizzazioni mafiose che davvero controllavano il territorio e che per dirla breve … “facevano paura”.

Ma ad oggi non può negarsi che quell’aria non la si respira più da tempo nella provincia jonica. E ciò è riscontrato a mio parere da due indici specifici.

Il primo, è rappresentato proprio dalle ultime maxi inchieste giudiziarie che hanno dimostrato l’assenza di consolidate associazioni mafiose nel tarantino; nelle maxi operazioni come Mediterraneo, Scarface, Gli irriducibili, Buozzi, Discovery, Centauro, Monkey Business ecc. , nella quale si riteneva fossero state individuate delle associazioni che avessero i requisiti della “mafiosità”.

Pur tuttavia in tali inchieste ed in quasi tutte quelle degli ultimi dieci anni, la magistratura giudicante ha si, riconosciuto l’esistenza di reati, a volte anche molto gravi commessi, ma ha sempre ritenuto che non poteva riconoscersi la sussistenza di vere e proprie associazioni mafiose che gestivano la regia di tali reati.

Tale assunto è ricavato dalle sentenze della magistratura, che di certo non è stata clemente nell’erogare condanne nei confronti degli imputati alla sbarra in tali procedimenti, anzi se dovessimo effettuare un paragone tra le condanne emesse nell’ambito di tali processi degli ultimi anni rispetto ai processi storici degli anni ’90, non v’è dubbio che la magistratura giudicante ha usato il pugno duro negli ultimi anni, pur tuttavia, con scrupolo sotto il profilo giuridico ha dato atto del fatto che i presupposti per ritenere che sussistessero delle organizzazioni così radicate sul territorio e tali da definirle “mafiose” (per come stabilito dal legislatore) non sussistono.

L’assenza di tali presupposti è stata rappresentata proprio dalla mancata trasmissione della tradizione mafiose, ovvero dall’assenza di una continuità storica delle organizzazioni mafiose degli anni ’90, che decapitate realmente dal grande impegno della magistratura, non ha oggettivamente visto il trapasso della gestione “organizzata” del potere mafioso, ma il tentativo di nascita di micro organizzazioni che mai sono riuscite a determinare una forza di intimidazione tale, ed un controllo del territorio come quello delle organizzazioni mafiose degli anni passati.

Non v’è dubbio che l’innovazione tecnologica degli strumenti di indagine abbia fornito un grandissimo aiuto in tal senso. Infatti le intercettazioni, i Gps, le indagini telematiche e comunque scientifiche hanno fornito un contributo determinante alla ricerca della prova ed alla capacità di individuare i gruppi criminali ed i circuiti illeciti.

In tal senso non può sottacersi che la difficoltà maggiore negli anni per combattere le mafie era rappresentata proprio dalla capacità di rinvenire elementi di prova a carico dei così detti uomini d’onore, ma una volta arrivati ad individuarli, emergevano prepotenti fatti che non potevano non definirsi mafiosi. Le ultime maxi inchieste rispetto alle passate sono state condotte con strumenti di indagine molto più invasivi, per l’appunto intercettazioni ecc., e non hanno mai condotto alla emersione del così detto mondo sotterraneo di regole interne e di controllo del territorio proprio delle organizzazioni mafiose. In altri termini, con il ricorso alle intercettazioni ed a tali strumenti di indagine una volta individuato il presunto clan, non potevano non emergere c.d “fatti indici di mafiosità”; invece come emerso nelle inchieste, ed oramai cristallizzato nelle sentenze, è emerso un tessuto criminale quanto mai frastagliato, composto da piccoli gruppetti del tutto autonomi uno dall’altro, mai governati da regole superiori e soprastanti .

Ciò non esclude la elevatissima pericolosità sociale determinata da tale situazione per come emersa dai processi, ma di certo non consente agevolmente di ritenere che possano tali micro consorterie, destituite soprattutto del trapasso della tradizione mafiosa (come emerge dalle sentenze), integrare i requisiti della mafiosità come sanciti dal legislatore.

Il secondo è più evidente indice della assenza di quel clima è rappresentato proprio dal “disordine criminale” che si registra quotidianamente. Non v’è dubbio che l’esistenza delle vecchie organizzazioni criminali degli anni ’90, ritenute mafiose dalla sentenze dei maxi processi, determinasse una autorevole imposizione di regole e di un ordine criminale che ad oggi indubbiamente risulta ribaltato a fronte di vicende criminali che esaltano l’esistenza di così detti “cani sciolti” per usare un gergo giornalistico, ovvero di personalità criminali autonome e  pericolosissime ma che in realtà emergono proprio per l’assenza di regole e quindi per l’assenza di un “ordine” criminale.

E’ notorio come una relativa tranquillità sociale fosse il primo obiettivo delle grandi organizzazioni criminali per la gestione di rilevanti interessi economici.

Di certo tale situazione determina maggior allarme sociale poiché si registra un incremento della microcriminalità ed un dilagare di reati non indicativi di grande spessore criminale ma che quotidianamente ledono la sicurezza dei cittadini.Con riferimento alla ritenuta imminente scarcerazioni, cui si fa genericamente riferimento, di personaggi di grande spessore criminale  di quegli anni ’90 (come qualificati dalle sentenze), non posso, da legale, che rispettare l’operato delle forze dell’ordine e della Dda, e condividere la guardia alta degli stessi, ma nello stesso momento non posso non evidenziare l’esigenza di garantire il diritto di tutti i detenuti a combattere i sospetti ed i pregiudizi che inevitabilmente gli stessi devono affrontare dopo aver pagato i conti con la giustizia.

Da legale, spesso ho direttamente affrontato le difficoltà che incontra un detenuto che ha realmente deciso di dedicarsi alla vita civile lontana dagli illeciti, di reinserirsi nella società. Non v’è dubbio che realmente molti imputati eccellenti di quegli anni, abbiano trovato dopo 20 anni un mondo nuovo fuori dalle celle e, va detto, anche una realtà criminale nuova, fatta di aspetti che forse, per detta di molti, davvero non consentono di ritenere percorribile  la vecchia strada.In conclusione va riconosciuto l’encomio alle grandi battaglie giudiziarie della Magistratura che hanno consentito la decapitazione delle mafie tarantine degli anni ’90, e condivido pienamente la guardia alta rispetto alla nascita dei fenomeni mafiosi.