TARANTO – E’ arrivato l’ultimo rapporto della Guardia di Finanza, l’inchiesta Ilva è “praticamente” chiusa. Ma in quell’avverbio c’è tanto. Quanto basta per far allungare ancora un po’ il tempo che separa dai canonici avvisi di conclusione delle indagini preliminari.
Un passaggio su cui dalle parti di via Marche si va con i piedi di piombo.
L’inchiesta tarantina, sinora, ha colpito i vertici aziendali (i Riva, Archinà, lo stesso Ferrante che è indagato) e la politica locale (i casi Florido e Conserva). Esiste un ‘terzo livello’, di cui pure molto si è parlato, e scritto, sui media? E un quarto, addirittura? La risposta, anzi le risposte, a ciò di cui si parla da tempo dovranno necessariamente essere inserite negli ‘avvisi’, destinati a dare un quadro finalmente esaustivo delle responsabilità individuate dal pool di pm capeggiato da Franco Sebastio.
Le tesi dell’accusa dovranno poi affrontare la sfida dell’aula e del contradditorio, in un processo che vedrà eserciti di avvocati provare a smontare, pezzo per pezzo, la versione della Procura.
Non è un mistero che i riflettori siano puntati, in quest’ultima parte delle indagini, sulla prima Aia per il siderurgico, firmata nel 2011.
Per la cronaca, a reggere il ministero dell’Ambiente era Stefania Prestigiacomo, con il futuro ministro Corrado Clini a ricoprire il ruolo di direttore generale. Già tre anni fa, la nomina della commissione di esperti individuata dall’allora ministro fu al centro di aspre polemiche.