«Come marcia oggi l’Ilva? Come una macchina senza carburante, che va a spinta aspettando di raggiungere una pompa di benzina che però non arriva mai».
Nel giorno di un incontro tra sindacati e azienda per capire (o almeno, provare a farlo) come sarà l’autunno dell’Ilva, il segretario provinciale della Uilm Antonio Talò disegna l’immagine di una fabbrica che si trascina in attesa della svolta. Se mai ci sarà. «Ci hanno messo a bagnomaria…» sospira il capo di quello che resta il sindacato più rappresentativo nella gigantesca acciaieria alle porte di Taranto.
‘Radiofabbrica’ parla di una estate al minimo storico della produzione, perchè nel contesto di un mercato dell’acciaio in crisi a livello globale Ilva è il player che più risente delle difficoltà del settore, dopo quattro anni di sostanziale caduta libera. «In realtà siamo in media con la produzione annuale, che resta complessivamente bassa» corregge il segretario dei metalmeccanici targati Uil. «I problemi sul tappeto restano gravi, a partire dal più serio, quello della carenza di risorse, anche per la manutenzione degli impianti. L’Ilva è ancora oggi un’azienda che produce perdite, e questo intacca anche il famoso tesoretto ottenuto con il prestito ponte». I soldi che il governo ha fatto pervenire alla gestione commissariale con una serie di acrobazie normative e contabili sembrano stare per finire, quindi.
«Credo che già a ottobre-novembre la questione possa riproporsi. E allora, cosa si farà? La situazione è stagnante. Siamo come un malato che rimane con il respiratore attaccato». Una domanda, quella di Talò, a cui appare difficile dare risposta e che si intreccia con la questione della vendita dell’azienda che lo Stato ha tolto ai Riva per porre sotto l’ombrello dell’amministrazione straordinaria. Una vendita che vendita non sarà, visto che entrambi i gruppi interessati, AcciaItalia e ArcelorMittalMargegaglia puntano sul fitto del ramo d’azienda, anche in ragione del ricorso pendente dei Riva, che potrebbe avere effetti clamorosi, e dei sigilli mai tolti agli impianti, pure se ‘neutralizzati’ dalle dieci leggi speciali volute da tre governo (Monti, Letta e Renzi) le quali, più che risolvere il caso Taranto, sembrano averlo complicato.
«Dopo una serie di rinvii, per la vendita dovremo con ogni probabilità aspettare l’inizio del 2017» nota Talò. Nel frattempo, il Comitato nominato dal ministero dell’Ambiente per valutare i piani ambientali, composto dai professori Carlo Collivignarelli, Antonio Fardelli e Gigliola Spadoni, dovrà esprimere la propria ‘preferenza’. «Noi di questi piani non sappiamo nulla, e questo è un grave errore da parte del governo. Dico una cosa forte: non barattiamo l’occupazione con l’ambiente. L’Ilva va resa ecocompatibile, questo è giusto e va fatto, senza sconti, a tutela di operai e cittadini. Ma io ritengo che in nome di quella cosa sacrosanta che è l’ambientalizzazione non debbano e non possano essere sacrificati posti di lavoro. Ambiente e lavoro insieme è la strada che si è scelta ed in nome della quale sono stati fatti sacrifici da parte dei lavoratori. Non possono essere accettate deviazioni da questo percorso, in nessun senso». La cordata italiana guidata da Arvedi con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti viene data come preferita dal governo rispetto al ‘papa straniero’ Arcelor. Il sindacato è prudente, ma Talò conferma che «AcciaItalia, se pensiamo alla strategicità della siderurgia nel sistema Paese, sembra preferibile. La domanda però è se questo gruppo ha le spalle abbastanza grandi per affrontare quell’impresa titanica che è il rilancio dell’Ilva». Interrogativo che riguarda le risorse economiche ed il know-how tecnologico necessario per quella che è la più grossa scommessa industriale e finanziaria mai compiuta in Italia e forse in Europa.
«L’ingresso di nuovi partner, e si riparla dei turchi di Erdemir ma non solo, è forse auspicabile» chiosa Talò.