Classe di ferro 1939, potentino di nascita «ma da 56 anni a Taranto», imprenditore.
«Nessuno conosce l’Ilva meglio di me» si lascia scappare Arduino Vecchione, titolare di una ditta di trasporti eccezionali che opera con e per l’indotto siderurgico. L’azienda lavorava anche direttamente per l’Ilva «ma dalla gestione Bondi ci siamo tirati fuori. L’esperienza ci ha suggerito che era meglio interrompere la collaborazione. Possiamo dire di aver fatto bene».
Da imprenditore, Vecchione analizza il momento difficile del gigante d’acciaio e, soprattutto, il rapporto non facile con la città. «Il vero problema di Taranto è l’analfabetismo industriale. La politica non se n’è mai interessata». Un paradosso: dove si convive con la più grande fabbrica d’Europa manca il background culturale che dovrebbe caratterizzare una moderna città industriale. «Eppure, per poter lavorare in una realtà complessa come l’Ilva proprio la cultura industriale è elemento imprescindibile, insieme al rispetto rigoroso delle norme e delle leggi».
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha parlato apertamente di chiusura della fabbrica perché inquinante ed insicura. «Un errore. Cosa facciamo delle 20.000 persone che lavorano in e con l’Ilva? Emiliano deve capire che non parla in un’aula di tribunale. Diverso è dire che bisogna lavorare nella legalità. Su questo non si deve transigere. Non ci può essere spazio per l’improvvisazione. Oggi in Ilva mancano anche i pezzi di ricambio, da tempo non si investe nel magazzino, che è fondamentale. Così come va pretesa una completa ambientalizzazione, che è difficile ma si può fare». La gestione commissariale appare ai sindacati non all’altezza della situazione. «Gli impianti dell’Ilva sono programmati per produrre otto milioni di tonnellate d’acciaio. I Riva arrivavano a dodici: così si portavano sotto sforzo, un errore sul fronte ambientale ma anche su quello della tenuta dello stabilimento».
Ma in questa situazione l’Ilva è vendibile? «Da imprenditore dico di no, la strada può essere quella del fitto di ramo d’azienda». Mittal da una parte, Jindal partner forte di Arvedi dall’altra: sull’Ilva sventolerà bandiera indiana… «Gli indiani, come i cinesi, hanno milioni di tonnellate d’acciaio invendute. Bisogna fare attenzione». Un siderurgico ‘a gas’, altra proposta di Emiliano, è fattibile? «Sarebbe un’operazione troppo complessa. A mio avviso l’Ilva dovrà semplicemente ridurre la produzione, forse a sei milioni di tonnellate».
Con inevitabili riverberi sull’occupazione. «Sì. Ma l’Ilva ha un futuro anche se si forma una nuova classe dirigente preparata a livello industriale, e se si valorizzano le aziende locali dell’indotto, coinvolgendo anche Confindustria che può e deve essere parte attiva in questo processo».