A fronte di un ricchissimo
patrimonio storico – archeologico,
ma lo stesso discorso vale anche per
quello paesaggistico, la più parte degli
abitanti della nostra città sembra
non comprenderne ed apprezzarne il
valore.
Certo, parte di tale patrimonio
è custodito nelle sale del museo, il
nostro glorioso museo, ma si corre
un rischio: il rischio di rivolgersi e
preoccuparsi di un pubblico di elites
, quello degli studiosi. Il Marta con
recenti nuove, validissime iniziative
si apre sempre più alla cittadinanza,
ma ritengo che il coinvolgimento più
ampio debba essere affidato ad altre
esperienze che potremmo individuare
in un museo diffuso o museo all’aperto.
Il museo comunemente inteso
comunque è una struttura che conserva
cose che si ritengono degne di essere
conservate, rappresenta una collezione
e ha a che fare col pubblico, non con
la comunità. Per lo spettatore medio
rischia e di fatto è un repertorio di
curiosità, molto meno uno strumento
di accrescimento culturale.
E presenta
un altro aspetto che disorienta : la
de-contestualizzazione dei materiali
conservati rispetto al territorio e alla
sua storia. Lo spettatore medio vive il
ruolo passivo di osservatore poco partecipe
a livello conoscitivo. Pensare ad
un criterio di fruizione nel pubblico del
patrimonio archeologico – storico – paesaggistico
partendo dalle condizioni
reali delle conoscenze e dell’interesse:
un museo per tutti. Allora l’esperienza
museale si presenta come un progetto
“sociale” – “politico” che mira a far
uscire dall’anonimato i reperti presenti
nel territorio e così farli conoscere e
ad esso connesse la storia della nostra
città e la sua straordinaria bellezza.
Che cosa avverrebbe: accantonare un
atteggiamento distaccato generalmente
proprio dello spettatore – pubblico… e
trasformarlo in spettatore – comunità
che è partecipe e si riappropria del
territorio e si auspica possa prendersene
cura: il territorio e la comunità
diventano un tutt’uno. Il museo diffuso
avendo soprattutto un valore didattico
ed informativo si può ritenerlo luogo
di educazione permanente… non un
laboratorio o un magazzino efficiente
al di là del valore, per ricerche scientifiche…
non è una università: mira alla
crescita della comunità tutta (dando
per scontata poco preparata). Il museo
diviene un libro aperto che deve essere
comprensibile a tutti i lettori, un museo
che rimanda all’esterno in una realtà
che non è costretta e limitata da quattro
mura. Nella quale i resti dell’insediamento
antico costituiscono luoghi nei
quali camminare e soffermarsi e lo
spettatore si abitua a percorre i secoli
ed arriva al presente per avere quasi
una rappresentazione museale dello
spazio.
Al visitatore si narra la storia
del territorio e si fa cogliere il carattere
storico della realtà mettendo in relazione
se stesso con l’oggetto in esposizione
per intuirne la diversa posizione nel
processo storico generale. L’esperienza
del museo diffuso immancabilmente
suscita attenzione contro il degrado
ambientale, educa gradualmente ad
essere attenti allo stato di conservazione
dei reperti, all’abbandono, alle
manomissioni improprie, allo sviluppo
urbano incontrollato ma anche rende
accorti alle felici novità frutto dell’attività
di restauro e tutela condotte dalla
Soprintendenza. Infine ma forse primo
per importanza il contributo che l’esperienza
del museo all’aperto conferirebbe
alla scoperta o riscoperta delle
nostre radici.
Ad aiutare a cogliere la
relazione tra la storia personale del cittadino
spettatore con la storia collettiva
della comunità di appartenenza. Per
cui risulta che le aree archeologiche
e paesaggistiche sul territorio hanno
sì un valore conoscitivo, ma ad esso
collegato un valore di identificazione
patrimonio – territorio – comunità,
fa scoprire sempre più e alimenta il
senso di appartenenza, rappresentano
uno specchio nel quale il cittadino si
ritrova, ritrova la sua identità e con
orgoglio la mostra agli altri. Naturalmente il museo diffuso pensato
e realizzato anche come strumento
di valorizzazione economica tende
all’attivazione di processi di sviluppo
volti ad attivare flussi turistici, però a
mio avviso il ritorno economico del turismo
è un valore aggiunto, così come
quello della ricerca non trascurabili
ma non possono essere presi a misura
delle finalità e del successo: sollevare
il livello culturale di una comunità e
consolidarne la coscienza identitaria è
il grande compito di un museo.
Circa il
progetto concreto: si dovrebbe pensare
ad uno scenario di Museo diffuso che
abbraccerebbe il patrimonio archeologico
– storico-artistico-paesaggistico
di un territorio che potrebbe coincidere
con l’area urbana di Taranto o
estendersi al primo e secondo seno del
mar piccolo e alla baia di mar grande
comprese le Cheradi. Un progetto fatto
proprio dall’Assessorato alla Cultura,
in collaborazione con assessorato al
Patrimonio e l’Assessorato al Turismo
con cui il Comune soggetto organizzato
e organizzatore, espressione della
comunità locale, riesca ad armonizzare
tra loro le diverse realtà culturali
presenti sul territorio. Per far questo
bisognerà attuare un coordinamento
con la Soprintendenza per i Beni
archeologici che ha svolto e svolge
i lavori di restauro dei siti; stipulare
convenzioni con la Marina per valorizzare
reperti storico archeologici es.
il sito di Villa Capecelatro e del sacello
Romano, con l’Aereonautica per aree
lungo le coste del mar Piccolo, con la
Curia Arcivescovile, si pensi al Mudi,
e alle chiese sparse sul territorio, convenzioni
con altre istituzioni, si pensi
ai conventi nell’isola, col museo etnografico
Alfredo Maiorano, sollecitare
la collaborazione con l’Università che
attui in maniera mirata tirocini per
giovani laureati.
Con il museo nazionale,
con il Marta, pensare nell’ottica
del museo aperto ad un sistema in cui
il polo centrale può rimandare alla visita delle emergenze sparse sul territorio
e viceversa i siti sparsi possono
rimandare al polo museale centrale
garantendo il successo della comunicazione
culturale con questo rapporto
interno-esterno. Un sistema museale
che in questa collaborazione inviti a visitare
il Marta, a saperlo leggere ancor
meglio ed appezzare assecondando,
almeno questo è il mio pensiero, il
progetto portato avanti dalla direzione
attuale: è innegabile che le innovazioni
nel processo di accessibilità, ricerca,
valorizzazione, comunicazione ben
si collocherebbero in museo diffuso
del territorio.
Nell’ambito di questo
sistema ipotizzare circuiti, itinerari diversificati
su base tematica, un sistema
di percorsi di visita pedonali e perché
no ciclabili, possibilmente continuativi
e non periodici o occasionali garantendo
continuità nelle aperture di siti
e musei. Con quali funzioni: un servizio
di guida specializzata ma anche
attività didattiche diversificate rivolte
agli studenti, ai visitatori ed a turisti,
laboratori di archeologia sperimentale,
conferenze ed eventi culturali.
Salvatore Aloisio
Presidente associazione
“Amici del Quinto Ennio”