Non è sconfitta, ma
«notevolmente ridimensionata».
La
Sacra Corona Unita resta la mafia
principe della Puglia meridionale,
tuttavia questa organizzazione criminale
sembra aver perso il carattere
granitico che la contraddistingueva
fino a qualche anno fa. Ad affermarlo
è la Direzione Investigativa Antimafia,
nell’ultima relazione, quella
relativa al primo semestre 2017. La
Scu risulta frammentata, i gruppi
criminali si sono polverizzati.
«Lo scenario criminale pugliese –
scrive la Dia – continua ad essere
caratterizzato da una pluralità di
gruppi, per lo più organizzati su
base familiare, privi di una strategia
unitaria e protesi a dirimere le
conflittualità interne con modalità
violente». Una sorta di mafia tribale,
insomma, che però continua a imperversare
nel resto della Puglia come a
Taranto, dove tentano di farsi largo
le nuove leve.
Nel territorio ionico,
infatti, i clan danno segnali di violenta
irrequietezza: «Il circondario
della provincia di Taranto è segnato
da una pluralità di consorterie in costante
mutamento, anche in ragione
di contrasti interni che ne alterano gli
equilibri e gli assetti». Non mancano
tuttavia patti «di non belligeranza tra
figure storiche della malavita tarantina,
finalizzati ad acquisire maggiore
potere, anche con azioni di forza, su
consorterie criminali “minori” attive
nel capoluogo».
Sono proprio queste
«consorterie “minori”» quelle delle
nuove generazioni «che si dimostrano
spregiudicate, violente e in cerca
di spazi per svolgere autonomamente le attività criminali». Spesso si tratta
di bande guidate da figli e nipoti dei
boss storici, un passaggio di testimone
che avviene nel tentativo «di
garantire continuità e sopravvivenza
al gruppo mafioso».
In questo quadro così instabile e
frammentato ecco allora che la Puglia diventa terreno fertile per il radicamento
anche di mafie straniere.
Due in particolare: quella albanese
e quella cinese.
La mafia albanese
La mafia albanese risulta tra le più
feroci e ramificate sul territorio
italiano.
« I sodalizi albanesi – si legge nella
relazione della Dia – sono connotati
da una struttura organizzativa in
forma “clanica”, che tiene saldo il
vincolo di appartenenza; manifestano,
altresì, una accentuata indole
violenta nell’esecuzione dei reati
predatori ed una estrema mobilità
sul territorio, che ha consentito loro
di estendere progressivamente la
portata degli interessi criminali –
sovente condivisi con gruppi italiani
– nel settore degli stupefacenti, nello
sfruttamento della prostituzione e nei
reati contro il patrimonio».
«Il ricorso alla violenza resta, peraltro,
lo strumento attraverso il quale
vengono risolti i dissidi tra gruppi
rivali, e non solo per ragioni legate
alle attività illecite. Sembra, infatti,
che nell’ambito di tali gruppi si faccia
ancora ricorso alle regole del kanun,
un codice consuetudinario albanese,
risalente al XV secolo e alternativo
alle regole dello Stato. Secondo tale
codice, i congiunti di una vittima di
un omicidio possono uccidere, di
diritto, gli autori del fatto o i loro
parenti maschi sino al terzo grado,
purché di età superiore ai quattordici
anni».
La Puglia è una delle regioni più
esposte alle infiltrazioni della criminalità
albanese. La sponda adriatica
e il porto di Brindisi, in particolare,
sono gli approdi più facili per le consorterie
albanesi, dedite soprattutto
al traffico di stupefacenti.
Proprio sul rapporto tra clan albanesi
e criminalità pugliese si sofferma il
rapporto della Direzione Investigativa
Antimafia, «anche in considerazione
della vicinanza geografica
tra i due Paesi». E infatti «gli scali
portuali dell’Adriatico restano gli approdi
privilegiati per i traffici illeciti
dai Balcani».
«Il porto di Brindisi, in particolare,
sarebbe uno dei crocevia preferiti
per le organizzazioni criminali
transnazionali, utilizzato per far
arrivare nel Paese non solo carichi
di droga, soprattutto marijuana, ma
anche merce contraffatta. Una rotta
che viene parimenti impiegata per i
traffici di eroina, di cocaina, di immigrati
clandestini e di armi».
Ma la mafia albanese è anche altro:
in particolare, un «settore di rilievo
è quello della prostituzione, ambito
in cui le organizzazioni albanesi tendono
ad adescare le proprie vittime
all’interno di gruppi di connazionali.
Le donne, sottoposte a violenze fisiche
e psicologiche, vengono sfruttate
e, in alcuni casi, addirittura cedute ad
altri sodalizi, in particolare rumeni».
E dove finiscono i proventi di questo
ventaglio di attività? La Direzione
Antimafia ha una idea molto chiara
di ciò che accade: i soldi vengono
reinvestiti in Albania in attività immobiliari
e commerciali.
La mafia cinese
Dall’estremo oriente arriva l’altra
mafia che si è infiltrata sul territorio
italiano: quella cinese. E in questo
caso è proprio Taranto uno degli
avamposti dei quali si servono i sodalizi
criminali cinesi.
In generale si tratta di organizzazioni
con «modelli delinquenziali
gerarchicamente strutturati, con
caratteristiche di mafiosità».
L’assetto della criminalità cinese è
verticistico, «caratterizzato, all’interno,
da una fitta rete di rapporti,
ramificati sul territorio e capaci di
condizionare le dinamiche, lecite e
illecite, proprie della comunità».
«Si tratta – osserva la Dia – di relazioni
basate essenzialmente sul legame
familiare (l’organigramma criminale
si struttura per linea parentale,
secondo precise gerarchie interne)
e solidaristico, con una fratellanza
criminale nata, in molti casi, prima
dell’arrivo in Italia e che si alimenta
anche attraverso il costante reclutamento
di giovani leve» e il modus
operandi è caratterizzato « da una
spiccata violenza nei confronti dei
clan rivali».
C’è una regola che vige nelle strutture
criminali cinesi: la guanxi,
«ossia una rete assistenzialistica che
assicura benefici e servizi e che contribuisce
sensibilmente ad accrescere
il livello di omertà».
«È sulla solidità di questa complessa
struttura organizzativa – scrive la
Dia – che si regge il vasto “paniere”
degli investimenti illeciti che fanno
capo alla criminalità cinese. Tra
questi rilevano, in primo luogo, il
contrabbando e l’importazione, lo
stoccaggio e la distribuzione di prodotti
contraffatti, fatti arrivare dalla
Cina attraverso i porti e gli aeroporti.
Tali canali vengono utilizzati anche
per il traffico illecito di rifiuti».
Tra i porti più interessati dall’arrivo
di merce illegale c’è, come detto,
proprio il porto di Taranto, insieme
a quelli di Napoli, Gioia Tauro,
Ancona, Genova, Trieste, Venezia
e Livorno. C’è da sottolineare che
per le pratiche contabili finalizzate
alle evasioni fiscali e contributive, la
mafia cinese si avvale «della mediazione
e del supporto di professionisti
italiani», a dimostrazione anche della
capacità di «contaminazione del tessuto
economico sano».