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​Dalla malavita alla Fede: parla Mauro​

Mauro è vissuto ai Tamburi, dai ben noti problemi
legati alla vicinanza dell’Ilva e dalla sua connotazione di
quartiere dormitorio.

“La maggior parte dei suoi abitanti, buoni
e onesti – spiega – vive ai limiti della decenza ed è vessata dalle
attività illecite di pochi individui, che diventano modelli di vita
per i giovani”. In tale contesto, spinto dallo stato di bisogni e
incoraggiato da un parente implicato in attività illecite, Mauro
cominciò farsi strada nella mala. “Agevolato anche dalla mia
prestanza fisica – continua – divenni violento e aggressivo, alla
continua ricerca della lite e della sopraffazione, soprattutto verso
i più deboli. Incoraggiato da quanti mi circondavo, picchiavo chi
mi si opponeva finché addiveniva a più miti consigli. Ma non mi
bastava, e picchiavo ancora di più fino a lasciare il segno della
‘discussione’. Per questo, divenni un temuto esattore delle campo
delle estorsioni”.

Mauro non perdeva occasione per mettersi in
mostra agli occhi dei capi, acquisendo crescente stima nell’ambiente
e facendosi, come si suol dire, un “nome”, finchè un giorno
fu arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Racconta: “Mi ritenevo forte e invincibile, presumevo di essere
circondato da tanti amici pronti a correre in mio aiuto e invece mi
ritrovai abbandonato da tutti in galera, dove non ero più nessuno.
Persi tutta la mia baldanza e mi resi conto di essere terribilmente
povero. Essendo incensurato, me la cavai con poco.

Tornai nel
mio ambiente, dove le mie quotazioni erano in netto rialzo. Ma
mi sentivo sempre più triste e confuso”. La fidanzata, nonostante
la detenzione, rimase al suo fianco, riuscendo a vedere il germe
del bene che c’era in lui, e lo sposò, ben consapevole di essersi
unita a un uomo senza lavoro e istruzione, senza prospettive e dal
carattere violento. Per amor suo, Mauro cominciò ad abbandonare
i vecchi amici e cambiare vita, ma c’era ancora tanta inquietudine
nel cuore. “Nel frattempo mia moglie cominciò a frequentare un
gruppo di preghiera al Corpus Domini, nel quartiere Paolo VI
dove avevamo preso casa – racconta – e non perdeva occasione
per invitarmi. Ma per me erano tutte stupidaggini e per tanta
insistenza arrivavo anche a litigare”. Poi, un giorno… “Approfittando
del fatto che ero da solo presi l’autobus per un giro del
quartiere.

A un certo punto mi sentii spinto a scendere e a salire
sul mezzo che faceva l’itinerario opposto. Ero l’unico passeggero
e, naturalmente, non essendoci prenotazione, furono saltate tutte
le fermate. Poi inspiegabilmente l’autista aprì le portelle: scesi
dal pullman e mi ritrovai davanti alla chiesa dove si trovava mia
moglie. Entrai e vidi che c’erano a tante persone che pregavano a
braccia alzate. Era un incontro della Comunità Gesù Risorto. Poi
mi si avvicinò uno sconosciuto per dirmi che entro un mese avrei
fatto quelle stesse cose: ne rimasi turbato.

A casa, mia moglie mi
invitò nuovamente a pregare con lei nel prossimo appuntamento
e questa volta accettai”. Una volta in chiesa, Mauro volle confessarsi
e si mise in fila ad attendere il suo turno. “Avvertii una
immensa vergogna per il male commesso e mentre piangevo udii
una voce dolcissima, quella del Signore, che mi diceva che il mio
passato era dimenticato e che dovevo sentirmi immensamente
amato da Lui – dice – Dopo l’assoluzione, mi sentii una persona
nuova e desideroso di camminare nella fede con mia moglie. Ma
le sorprese non erano finite. Un giorno il parroco mi propose di
diventare ministro straordinario della Comunione, ma ribattei che
mi sentivo indegno in quanto le mie mani, che dovevano portare
l’Eucarestia, avevano impugnato strumenti di morte. Ma proprio
per questo, per darne poi testimonianza (mi fu detto), avrei dovuto
accettare. E così fu”.

Ora Mauro ha ottenuto anche il ministero
dell’accolitato e con il suo gruppo di preghiera è testimone di
speranza proprio in quel luogo, il carcere, dove avrebbe potuto
trascorrere gran parte della sua vita, se non peggio.