Natali in Lussemburgo,
“sangue” europeo ed asiatico nelle
proprie vene. È una storia degna di una
grande casata nobiliare, quella di ArcelorMittal,
primo gruppo siderurgico
al mondo, che alla propria collezione
di acciaierie e ciminiere si prepara ad
aggiungere anche l’Ilva di Taranto.
Una
storia alla Game of Thrones, in realtà,
verrebbe da dire. E non potrebbe essere
altrimenti, visto che si tratta di una
multinazionale gigantesca per volumi
d’affari, fatturato, posti di lavoro. E,
anche, per le polemiche. ArcelorMittal
come la conosciamo oggi nasce nel
2006, dalla fusione tra Arcelor, francese
(ma con sede legale in Lussemburgo)
e Mittal Steel Corporation, indiana
(sede legale: Olanda). Se la sede legale
è Lussemburgo – come per Arcelor – la
leadership del nuovo gruppo è affidata
a Mittal, anzi ai Mittal: Lakshmi, uno
degli uomini più ricchi del mondo, e
Aditya, il figlio, giovane e glamour quel
tanto che basta da finire con tanto di foto
“posate” sul magazine Gq.
Come riporta
il sito specializzato Siderweb, la rapida
crescita di Mittal Steel è iniziata nel
1989 con la creazione di unità produttive
a Trinidad e Tobago, alla quale ha fatto
poi seguito una serie di operazioni di
acquisizione e fusione: Siderurgica del
Balsas (Messico) nel 1992, Sidbec (Canada)
nel 1994, Karmet (Kazakistan) e
Hamburger Stahlwerke (Germania) nel
1995, Thyssen Duisburg (Germania)
nel 1997, Inland Steel (USA) nel 1998,
Unimetal (Francia) nel 1999, Sidex (Romania
e Algeria) nel 2001, Nowa Huta
(Repubblica Ceca) nel 2003, BH Steel
(Bosnia), Balkan Steel (Macedonia),
PHS (Polonia) e ISCOR (Sudafrica)
nel 2004, USG (USA) e Kryvorizhstal
(Ucraina), oltre a partecipazioni significative
in Hunan Valin Steel (Cina) nel 2005 e in tre sussidiarie di Stelco Inc.
in Canada nel 2006. Arcelor, invece,
nasce nel 2002 dalla fusione di Usinor
(Francia), Arbed (Lussemburgo) e
Aceralia (Spagna), e nel 2005 figurava
al secondo posto – proprio dopo Mittal
– per produzione di acciaio nel mondo.
Tuttavia, se si guarda al fatturato, Arcelor
era al primo posto con 32 miliardi
di dollari, contro i 24 della seconda, in
ragione della propria produzione di acciai
speciali a maggior valore aggiunto,
finalizzata ad un target medio-alta, a
differenza della produzione ‘di massa’
del gruppo indiano.
Quotata in Borsa
ad Amsterdam, Lussemburgo, Madrid, Parigi e New York, ArcelorMittal è
presente in 60 Paesi del mondo, tra
fabbriche – con una capacità complessiva
di 100 milioni di tonnellate – centri
ricerche, miniere. Taranto si appresta,
salvo colpi di scena, a diventare provincia
dell’impero dell’acciaio. Un
impero in cui, nel recente passato, non
sono mancati momenti di ribellione.
Nel 2012, mentre a Taranto scattavano
i sequestri degli impianti Ilva a Zenica
in Bosnia andavano in scena le proteste
per l’inquinamento causato dall’acciaieria
targata AM.
«I cittadini di Zenica
guardano all’arrivo dell’autunno e dell’inverno con grande preoccupazione.
La città si trova infatti in una
valle piccola e stretta: scorre per 14
chilometri, da Janić fino a Vranduk,
stretta fra due montagne che non sono
distanti l’una dall’altra più di 2 chilometri.
Come di consueto da novembre
a febbraio sopra la città si forma una
vera e propria “cappa”, sotto la quale
rimangono intrappolate tutte le sostanze
tossiche che fuoriescono dai comignoli
e dagli impianti della grande acciaieria
che ha sede in città, dagli altri impianti
industriali e dalle abitazioni.
A causa
di strane circostanze storiche, la città
e l’acciaieria da tempo condividono la
valle. Dopo la Seconda guerra mondiale,
l’allora governo jugoslavo, con l’aiuto
dei russi, aveva intenzione di costruire
una nuova acciaieria vicino a Doboj.
Ma lo scontro jugoslavo-russo del 1948
cambiò i piani. Invece di Doboj il governo
jugoslavo decise di costruire l’acciaieria a Zenica, sulle fondamenta del già
esistente impianto austroungarico. Sin
dall’inizio l’acciaieria fu collocata nel
posto sbagliato, in una zona battuta dai
venti, così che tutto l’inquinamento degli
impianti viene spinto verso la città».
Così scriveva nel 2012 Esad Hećimović
per l’Osservatorio Balcani e Caucaso
Transeuropa. «L’acciaieria è stata rivenduta
due volte, ma la salvaguardia
dell’ambiente non è mai stata imposta
come priorità. Prima è stato ceduto il
50% di proprietà dell’acciaieria all’Agenzia
d’investimenti del Kuwait, che
aveva annunciato investimenti per il
rinnovo della produzione senza però riuscirvi.
Poi i kuwaitiani hanno venduto
la loro quota di proprietà alla compagnia
di Lakshmi Nivas Mittal, una delle persone
più ricche del mondo».
Un anno dopo, il Belgio è stato scosso
dalle proteste operaie.
«Lo scontro sui posti di lavoro nel sito
del gigante dell’accaio ArcelorMittal
in Belgio riprende» scriveva il sito di
informazione paneuropea Euronews.
«I sindacati hanno votato il ritorno al
lavoro per mercoledì ma stabilendo una
serie d’azioni di protesta sia in Belgio
che in Lussemburgo e a Strasburgo (…)
è indetta una mega manifestazione a
Namur, davanti alla sede del governo
regionale della Vallonia (…) I giorni
scorsi a Bruxelles una manifestazione
di protesta era degenerata in scontri con
la polizia.
ArcelorMittal ha annunciato
la chiusura definitiva di 6 impianti della
filiera a freddo di Liegi: una decisione
che riguarda 1.300 persone. L’azienda
giustifica la decisione con il degrado
del mercato dell’accaio in Europa».
Vicende del passato. Che riecheggiano
adesso che ArcelorMittal, tramite la
joint-venture Am InvestCo Italy, sta per
prendere il controllo della più grande
acciaieria d’Europa, quella di Taranto,
insieme agli altri asset del Gruppo Ilva.
Un’operazione per la quale il gigante
franco-indiano è pronto a sacrificare altri
impianti sull’altare dell’antitrust europeo:
ArcelorMittal Piombino, l’unico
impianto di acciaio galvanizzato della
Società in Italia;ArcelorMittal Galati,
Romania; ArcelorMittal Skopje, Macedonia;
ArcelorMittal Ostrava, Repubblica
Ceca; ArcelorMittal Dudelange,
Lussemburgo; Linee di galvanizzazione
4 e 5 a Flemalle; linee di decapaggio a
caldo, a freddo, laminazione a freddo e
di banda stagnata a Tilleur, tutte a Liegi,
in Belgio. Ma già il governo lussemburghese
ha manifestato la propria disapprovazione
contro la cessione dell’impianto
siderurgico di Dudelange, come
reso noto il vicepremier lussemburghese
Etienne Schneider facendo insorgere
nuove, possibili, complicazioni in vista
sulla strada dell’acquisizione dell’Ilva
da parte del gruppo.