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Ilva, la rivoluzione può attendere

Soddisfatti i Mittal, soddisfatta
Confindustria, soddisfatti
i sindacati.

Soddisfatti
gli ambientalisti per essere
stati ascoltati, ma che allo
stesso tempo avvertono: nessuna
mediazione, niente
vendita, niente ambientalizzazione.
Chiusura senza se e
senza ma, insomma.
E che dalle associazioni
ricevute al Mise – che in
larga parte hanno costituito
il serbatoio elettorale pentastellato
a Taranto – vengano
sottolineate queste rivendicazioni,
suona quasi come
il timore che le promesse
(a dire il vero piuttosto ballerine)
fatte in campagna
elettorale dal M5S possano
essere tradite.

L’impressione è che il ministro
Di Maio abbia detto
a ciascuno dei suoi interlocutori
quel che ciascuno si
aspettava di sentirsi dire:
agli ambientalisti il diritto
dei tarantini a respirare, a
sindacati e industriali la necessità
di coniugare salute e
lavoro. Una verità per niente
rivoluzionaria, quest’ultima,
visto che si tratterebbe né più
né meno che di proseguire
lungo il percorso già tracciato
dagli odiatissimi governi
precedenti Il ministro ha messo le mani avanti: serve tempo. Lui non ha la bacchetta
magica e a dire il vero non l’avevano neppure i suoi predecessori. Diciamo
che Di Maio comincia a toccare con mano l’enorme complessità di una
vertenza che non può essere risolta con soluzioni semplicistiche per il groviglio
di interessi e diritti in gioco.

Diciamo che Di Maio comincia a sperimentare
quanto sia complicato passare dall’arte di soffiare sul fuoco della
protesta e sul malcontento all’onere di governare. E dovrà pure misurarsi
con la linea e il pensiero del suo alleato di governo che segnali chiarissimi
sulla vicenda Ilva li ha già inviati. E i pentastellati questo sembrano averlo
compreso. Tra il “serve tempo” di Di Maio e le “rivoluzionarie” affermazioni
della ministra per il Sud, la leccese Barbara Lezzi («Coniugare salute
e lavoro») si nascondono indizi abbastanza precisi: la rivoluzione non è
dietro l’angolo.

Enzo Ferrari
Direttore responsabile