«A seguito dell’incontro
avvenuto lo scorso 9 Luglio tra il Ministro
dello Sviluppo Economico Luigi
Di Maio e i sindacati, abbiamo appreso
dagli organi di stampa che le azioni del
Governo – dopo l’attento esame delle
23 mila pagine del dossier Ilva – verterebbero
sulla continuità produttiva.
La decisione non sarebbe stata ancora
presa, ma ribadiamo al Ministro Di
Maio – come già richiesto durante
l’incontro al Mise del 19 giugno con
le associazioni – l’esigenza di rendere
subito pubblici i documenti di cui
Taranto non è ancora a conoscenza
sul dossier Ilva, primi fra tutti il piano
industriale – tenuto ben nascosto dal
Governo precedente e che è allegato
fondamentale del contratto di cessione
– ed i bilanci, di cui non si ha notizia
dal lontano 2014».
Così le associazioni
che si riuniscono sotto le insegne di
Piano Taranto: Comitato Cittadini e
Lavoratori Liberi e Pensanti, Comitato
quartiere Tamburi, FLMUniti
CUB, Genitori Tarantini, Giustizia per
Taranto, Isde Medici per l’ambiente
Massafra, Isde Medici per l’ambiente
Taranto, Legamjonici, LiberiAmo Taranto,
Peacelink, Tamburi Combattenti
Taranto L.I.D.E.R., Taranto Respira,
TuttaMiaLaCittà. «Dopo ventitre anni,
il dubbio che si voglia ripercorrere la
stessa strada intrapresa da Romano
Prodi e Lamberto Dini – quando l’Italsider
fu svenduta ai Riva – è più forte
che mai. Quando siamo stati convocati
a Roma, abbiamo detto chiaramente
al Vice Premier che l’unica strada per
salvare Taranto è avviare immediatamente
tutte le procedure che portano
alla chiusura della fabbrica, salvaguardando i redditi mediante i fondi
comunitari ed attuando quel piano
di riconversione economica, in virtù
del quale il Movimento Cinque Stelle
ha preso sul territorio il 50% dei voti.
Come primi atti tangibili di una reale
volontà di discontinuità col passato,
chiediamo che si legiferi da subito per
abrogare gli effetti del Decreto del
settembre scorso, col quale si è di fatto
sospeso lo stato di diritto nella nostra
città, e si ritirino i ricorsi presentati al
TAR dai Commissari straordinari nel
2017, coi quali si ostacola il principio
del “chi inquina paga”. La situazione
sanitaria, sociale ed economica è così
grave ed emergenziale che non è possibile
più perdere tempo o tergiversare:
“Ilva è incompatibile con il diritto alla
salute, ad un lavoro dignitoso e all’assenza
di discriminazioni”. Il rischio
per la salute di operai e cittadini ma
soprattutto dei bambini – come afferma
Isde Italia – persiste ancora ed è inaccettabile
che una popolazione debba
continuare a pagare da anni, con la
vita e la disabilità dei suoi cittadini, la
produzione dell’acciaio. Ferma restando
questa nostra posizione, riteniamo
irrinunciabile una Valutazione di Impatto
Sanitario preventiva che chiarisca
l’impatto potenziale sulla popolazione
della produzione dell’acciaio».