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​Case deprezzate dei Tamburi, i soldi non arrivano​

Hanno vinto le cause,
ma di risarcimento neanche l’ombra.
È la storia di tanti cittadini del rione
Tamburi, penalizzati per il deprezzamento
delle loro case, causa inquinamento.
Oggi hanno voluto tenere
una conferenza, riuniti nel “Comitato
per la tutela dei diritti casa”.

A farsi
portavoce del disagio delle centinaia
di famiglie interessate al problema
è Pellegrino Amato, che ha spiegato
cosa è accaduto in questi anni.
«Dal 2013 – ha detto Amato – insieme
a tanti cittadini abbiamo deciso di citare
in giudizio l’Ilva di Taranto, per
chiedere il risarcimento relativo al
deprezzamento commerciale degli
immobili, per via dell’ inquinamento
causato dallo stabilimento siderurgico.
La Cassazione con sentenza del
2005, accertò, definitivamente, che
l’Ilva immetteva nelle zone circostanti
circa 58 Tonnellate al giorno di
polvere ferrosa.

Di tale quantitativo,
un buon 80% continua a piovere sui
Tamburi, considerata la sua adiacenza
ai parchi. I Giudici di merito del
Tribunale di Taranto hanno accertato
la continuità di tali quantità immesse
e il superamento di ogni tollerabilità
prevista dalla legge, quindi il diritto
dei proprietari al risarcimento. Tutte
le cause intraprese sulla questione
hanno dato ragione ai cittadini e
prontamente liquidate, ma soltanto
quelle decise prima che lo Stabilimento
fosse messo in Amministrazione
Straordinaria; quelle decise
dopo, non sono state pagate e rimaste
nell’indifferenza di tutti».
Una beffa, appunto. Sancita per legge.
«Sembrerà strano – spiega infatti
Amato – ma tale rifiuto, che ancora
continua, è consentito dalla legge, da
quando lo Stabilimento è stato posto
in Amministrazione Straordinaria,
nel periodo del governo Renzi.

Infatti,
le norme che regolano l’Amministrazione
Straordinaria autorizzano
tali privilegi favorevoli all’Azienda,
ma distruttivi nei suoi effetti per i cittadini
che chiedono ragione del pagamento
dei danni: infatti esse prevedono,
tra l’altro, che 1) gli aventi
diritto non possono rivolgersi al Giudice
Ordinario; 2) non possono essere
iniziate azioni esecutive, di qualsiasi
natura, contro l’Ilva. L’azienda,
in forza di questa legge, si sottrae al
pagamento di miliardi di debiti e,
dunque, si autofinanzia a scapito dei
creditori che non possono difendersi
processualmente, mentre lo Stato
non solo risparmia, ma non corre il
rischio di essere sanzionato dalla Comunità
Europea perché, com’è noto,
è proibito il finanziamento alle imprese
in crisi».

Per questi cittadini, Taranto non
avrebbe quindi ottenuto alcun vantaggio
dall’amministrazione straordinaria
dell’Ilva: «I vantaggi sono
stati esclusivamente dell’Ilva (Stato)
e dell’acquirente indiano tanto caldeggiato
e asservito dal Governo
Renzi da assumersi l’onere molto
consistente di coprire (forse) i Parchi
Minerali a proprie spese. Riteniamo
che non debba essere questa la Repubblica
dei diritti».
Una severa critica è stata espressa nei
confronti della classe politica locale
e, in particolare dei parlamentari del
passato che «si sono sempre defilati».

«Nessuno di loro, di qualsiasi partito,
ha mai rappresentato la città. A dire
il vero, però, fino a questo momento,
per il problema del pagamento conseguente
al risarcimento ancora non
abbiamo visto nessuno, nazionale o
locale, della Lega e o dei Cinquestelle,
entrare in campo per affrontare i
veri problemi che riguardano i cittadini.
Non è sufficiente affrontare solo
la parte contrattuale relativa alla vendita,
se poi l’Ilva continua ad essere
un estraneo imposto ai cittadini».