x

x

​Il corto circuito che manda in tilt il Movimento 5 Stelle

La stessa fotografia condivisa dalle opposte fazioni, per
opposte ragioni.

Tempesta di vento e cielo denso di polvere
rossa. Inequivocabile. La foto ha fatto il giro del web, condivisa
da ambientalisti, da una parte, da sindacalisti e industriali,
dall’altra. I primi per chiedere la chiusura dell’Ilva,
i secondi per invocare una rapida definizione della vertenza
e procedere velocemente al risanamento della fabbrica.
Al centro di questa disputa c’è il ministro Di Maio, nelle cui
mani sembra essere il destino di Ilva e di Taranto. Quali
che saranno le sue decisioni, le conseguenze, nel bene e nel
male, saranno tutte per la città. Anche Di Maio ha condiviso
quella foto, definendo quel panorama surreale una scena da
«paesaggio industriale di fine ‘800».
Luigi Di Maio si guarda bene dal pronunciare la parola
«chiusura». In questo bisogna dargli atto di essere coerente
con la posizione assunta in
campagna elettorale, quando
a Taranto venne a dire che
l’Ilva non andava chiusa,
pur parlando di «cronoprogramma»
degli interventi e di
«riconversione».

Nel frattempo il capo politico
del M5S è diventato ministro
per lo sviluppo economico
e il dossier sull’Ilva è finito
proprio nelle sue mani. La
sensazione è che Di Maio
voglia aggrapparsi a qualche
appiglio per assumere una
qualsivoglia decisione. Ci sta
provando con il parere dell’Anac sulle criticità che avrebbero
caratterizzato la gara di aggiudicazione ad Arcelor Mittal.
Raffaele Cantone, che dell’Anac è presidente, ha già messo
le mani avanti e gli ha intimato di non strumentalizzare
quel «parere», perché su quel parere non si può fondare un
eventuale annullamento della gara. Se annullamento sarà,
lo sarà solo per decisione politica. Il nodo è tutto qui: la
scelta politica. Procedere con Arcelor Mittal, facendo leva
sulla «proposta migliorativa»? Annullare la gara e rifare il
bando con perdita di altri mesi e mesi di tempo e di milioni
di euro e con il concretissimo rischio di avviare l’Ilva verso
il fallimento? Decidere per la chiusura tout court? La scelta,
ad oggi, è quella che manca.

L’orientamento del governo è
ambiguo e questa ambiguità è arricchita spesso da dichiarazioni
contraddittorie (l’ultima in ordine di tempo è quella del
ministro Barbara Lezzi che ha definito «fantasmagoriche» le
ipotesi di decarbonizzazione tanto care ad Emiliano). Una
ambiguità che ha creato un corto circuito nel Movimento
Cinquestelle, che a livello locale in questi anni ha urlato per
la chiusura dello stabilimento, senza tuttavia ottenere oggi
una sponda inequivocabile da parte del proprio governo.
Inequivocabile è invece la Lega, partner di governo, che,
parole di Salvini, considera «impensabile» la chiusura della
più grande azienda siderurgica d’Europa.
Il corto circuito mette in crisi soprattutto i parlamentari
locali pentastellati. Finora silenti o molto prudenti sull’argomento.
Solo negli ultimi giorni si è registrato qualche
vagito. Di differente approccio. Uno, più democristiano:
Rosalba De Giorgi ha parlato della vertenza come di «una
delle più complesse che, negli ultimi anni, la politica abbia
mai affrontato» e che «sarà adottata la soluzione migliore
nell’interesse di tutti».

L’altro, più ruvido, forse nel tentativo
di tenere in caldo il cuore dell’elettorato grillino, oggi decisamente
disorientato: Giovanni Vianello, accompagnando
la foto della tempesta di polvere, ha scritto che «il mostro»
va chiuso.
Le contraddizioni sono stridenti. La decisione, quando sarà
presa, farà chiarezza. Ma non è detto che chiarezza farà
rima con coerenza. A Roma come a Taranto.

Enzo Ferrari
Direttore Responsabile