Ha chiuso la sua carriera
stigmatizzando “l’aumento dei
crimini contro i migranti” e inviando
una serie di solleciti al ministero della
Giustizia chiedendo l’autorizzazione
a procedere contro il leader della
Lega, ed oggi ministro dell’Interno,
Matteo Salvini. Colpevole, il titolare
del Viminale, di aver usato l’espressione
“magistratura schifezza” il 14 febbraio 2016 durante un intervento a
Collegno al congresso del Carroccio
Piemontese.
Armando Spataro, tarantino, lascia
la magistratura: il Csm ha deliberato
il suo collocamento a riposo per raggiunti
limiti di età, anche se il pensionamento
scatterà nel dicembre prossimo.
Da Taranto, città dove è nato nel
1948 ed alla quale è rimasto legato,
Spataro ha prestato servizio in magistratura
a Milano prima, dal 1976, ed
a Torino poi, da procuratore capo. Nel
capoluogo lombardo si è occupato in
prima persona del terrorismo rosso,
quindi è stato tra i più attivi magistrati
della Direzione distrettuale antimafia.
Ha coordinato da procuratore aggiunto
il pool sul ‘nuovo’ terrorismo occupandosi
anche del famigerato caso
che ruotava attorno al controverso
Abu Omar ed al ruolo nel suo rapimento
di Cia e Sismi.
In Piemonte è
arrivato nel giugno di quattro anni fa:
l’inchiesta sulla tragica notte di piazza
San Carlo, con gli incidenti e la calca
in occasione della finale di Champions
League 2017 (un morto, la giovane
Erika Pioletti, e 1.500 feriti) lo
vede impegnato in prima persona. Tifosissimo
della Juventus era il figlio di
Armando Spataro, Andrea, giovane
avvocato penalista prematuramente
scomparso per una malattia a 36 anni
qualche mese dopo quella partita tra i
bianconeri ed il Real Madrid. In una
lettera ai colleghi del figlio, Armando
Spataro aveva scritto: «L’11 settembre,
cioè il giorno della S. Messa
per Andrea, i suoi più cari amici gli
hanno dedicato due pagine di amore
che uno di loro ha letto in un’affollata
Basilica milanese. Tra le altre, hanno
ricordato queste sue belle parole da
giovane avvocato che si guarda intorno
e vuole capire e conoscere, parole
che ripeteva ai suoi amici e colleghi:
“il Tribunale va vissuto…e la giustizia
non è l’avventura di un giorno !”. Erano
questa sua visione della giustizia e
la dignità con cui viveva la sua professione
che mi rendevano e mi rendono
orgoglioso di avere avuto un “figlio avvocato”.
Sono queste sue parole che
mi consentono di avere sempre mio
figlio accanto».