x

x

​L’autismo di Vincenzo, il coraggio dei genitori​

“Fino ai due anni e mezzo
nostro figlio, Vincenzo, è cresciuto
normalmente, imparando all’asilo nido
le prime poesie; spronato dalle insegnanti,
faceva anche l’appello in classe,
pronunciando chiaramente il nome dei
compagni. Poi cominciammo a notare
lo sguardo perso e la mancanza di attenzione
ai nostri inviti.

Ci allarmammo
quando iniziò a camminare sulla punta
dei piedi e a dimenticare le parole imparate.
Digitammo i sintomi su google e
ottenemmo il verdetto che mai avremmo
immaginato: autismo. Dopo l’iniziale
smarrimento, comprendemmo che non
avremmo dovuto perdere tempo nel compiangerci,
soprattutto quando un medico
ci informò che dopo i tre anni sarebbe
stato tutto molto più difficile”.

Così inizia
il racconto di Lucia e Paolo (i nomi
sono di fantasia) che abbiamo incontrato
all’indomani della Giornata dell’autismo.
È una storia come tante, di genitori su cui
cade tra capo e collo la notizia della sindrome
del figlio, proprio quando lo stanno
vedendo crescere nel modo più sereno
e promettente. Ma è anche una vicenda
di speranza, in cui una mamma e un papà
lottano instancabilmente, incoraggiati da
altre famiglie che vivono la medesima
situazione e ridimensionando ogni altro
problema che altrove porterebbe alla rottura
coniugale. Lucia e Paolo già godono
dei primi risultati positivi di Vincenzo,
anche se questi evidenzia ancora problemi
di comunicazione.

Non ci si stancherebbe
mai di ascoltarli, stupendosi di
quanta energia sappia sprigionare il loro
amore di genitori, veri eroi silenziosi del
quotidiano. “Inizialmente abbiamo girato
inutilmente da uno specialista all’altro,
in cerca della terapia giusta – dice Paolo
– Imparammo che l’autismo è una sindrome
ad ampio spettro di gradazione,
con trattamenti terapeutici che variano
consistentemente da un caso all’altro.
Ci rendemmo conto che, nonostante la
molteplicità dei casi esistenti, gli studi
sull’autismo, soprattutto in Italia, devono
ancora avanzare, anche perché spesso
si attuano terapie obsolete di 30 anni fa.
Per contare su trattamenti più incisivi bisogna
soprattutto disporre di consistenti
fonti di reddito e di aiuti di parenti; in
caso contrario ci si dovrà inevitabilmente
rassegnare per il proprio figlio a progressi
più lenti”.
Poi, dopo tanti tentativi, ecco una nuova
terapia, proposta dal loro neuropsichiatra
infantile.

“Si tratta del metodo Aba, consistente
nell’analisi applicata del comportamento,
raccomandata dalle linee guida
sanitarie mondiali – spiega Lucia – Gli
specialisti ci sono, ma il problema è costituito
dalla carenza di un’adeguata formazione
delle terapiste per i trattamenti
a casa, cui, talvolta, abbiamo provveduto
a nostre spese”.
Per meglio calibrare gli interventi comportamentali
i coniugi hanno anche affrontato
una costosa trasferta negli Usa
(conducendo a loro spese l’interprete e
l’intero staff che segue il piccino nella
terapia) per incontrare una rinomata
specialista; con quest’ultima successivamente
si sentono periodicamente in
video chiamata, ogni volta con congruo
pagamento.

“Le difficoltà maggiori consistono nell’aiutare
il nostro bambino a relazionarsi
con l’esterno, creando appositamente per
lui un codice fatto di segni per stimolare
la comunicazione verbale – spiega Paolo
– Abbiamo dovuto appositamente attrezzare
una stanza per questi esercizi, con
l’ausilio di attrezzature vari e soprattutto
di giocattoli, che abbiamo acquistato in
grandi quantità” . E nel dire ciò, egli apre
un grande armadio pieno di balocchi
che farebbero la felicità di ogni bimbo
ma che per Vincenzo sono strumenti di
estenuanti esercizi, a base di stimoli e di
ricompense. Spesso si utilizzano anche
sabbia ed acqua ed è immaginabile in
quali condizioni si presenta, al termine,
il pavimento”.

Le soddisfazioni non sono tardate, come
le prime parole del bambino, l’autosufficienza
nel mangiare e nei bisogni fisiologici
e una pur minima capacità di
dialogo. “Molto ci ha giovato l’essere in
contatto con un’associazione di genitori,
veri angeli – continua Paolo – che mettono
in comune la loro esperienza”.
“Si va avanti giorno per giorno con fatica,
ripagata dagli abbracci di Vincenzo
che ci sembrano dicano in continuazione
‘Ti voglio bene’. Per lui non ci stancheremo
mai di lottare” – conclude Lucia.