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​Le trenta candeline del fallimento Frisani​

«Giocava Maradona, i
cellulari erano grandi come panettoni
e le mail non esistevano”… Comincia
così l’inserzione a pagamento pubblicata
sul Corriere della Sera il 27 marzo.
L’immagine è forte: una torta con le
candeline e il titolo: “30esimo buon compleanno
al fallimento di Achille Frisani”.

Achille Frisani: per i non più giovanissimi
è un nome notissimo nel mondo imprenditoriale
tarantino.
Concessionario Fiat dalla prestigiosa sede
in viale Virgilio e proprietario di svariati
alberghi: Eden Park, Smeraldo, Terminal
Jonio. Oltre ai capannoni industriali sulla
via per Talsano, dove fino a qualche anno
fa c’era – ironia della sorte – un’altra
concessionaria dalla sorte infelice. Un
impero, per quei tempi – erano gli anni
‘80. Ma quell’impero, forse, aveva i piedi
d’argilla. Achille Frisani fu dichiarato
fallito a marzo del 1988.

Un crac accompagnato
anche dall’arresto per bancarotta
fraudolenta. Esattamente trent’anni sono
passati. Trent’anni che però non sono
bastati a chiudere quella pagina che ancora
oggi si ripercuote sugli eredi. E così
il figlio Pietro, affermatissimo avvocato
con studi a Roma, Firenze e Strasburgo,
ha deciso di gridare all’Italia la sua rabbia
con quella ironica e provocatoria inserzione
sul Corriere.
«Ci siamo accorti che il fallimento era
ancora aperto solo dopo la morte di
mio padre. Lui non ne parlava, stava
male per questo. Mio padre da allora
ha vissuto come un condannato all’ergastolo
dei diritti civili. Morì pochi
giorni dopo il 21esimo anno del suo
fallimento», racconta l’avvocato Pietro a
TarantoBuonasera. Un fallimento ancora
pendente al Tribunale di Taranto.

«Con quella inserzione ho voluto raccontare
la mia amarezza per come è ridotto
il sistema giustizia in Italia e in particolare a Taranto. Pensate che ho dovuto
persino sottoscrivere una fidejussione da
200mila euro per accedere ai documenti
del fallimento di mio padre, pur avendo
io piena titolarità per accedere agli atti.
Quando poi sono riuscito finalmente a
vedere la documentaizone, mi è stata
respinta la proposta concordataria che
avevo avanzato. In questi anni sono stato
anche perseguito penalmente per il reato
di ricettazione fallimentare. Accuse che
poi sono state archiviate».
La storia è intricata, perché si passa anche
da due nuove società che Achille Frisani
aveva costituito dopo il fallimento.

«Si trattava di società intestate a prestanome,
grazie alle quali mio padre
era riuscito a ricostruirsi una posizione
economica. Dopo la morte di mio padre,
però, i prestanome avevano tentato di
impossessarsi di tutto. Siamo riusciti a
sventare il colpo».
Lo sconcerto è profondo: «Non mi spiego
l’inerzia, non mi spiego perché alcuni
beni come il capannone di Talsano, ora
completamente distrutto, e gli hotel
La Spezia e Taras, siano ancora lì, non
venduti. Ma ripeto, il problema grave è
la durata abnorme di questo fallimento.
Cosa è successo dopo la pubblicazione
dell’inserzione sul Corriere della Sera?
Si è verificata una coincidenza: è arrivata
l’istanza di fallimento per le altre società
che mio padre aveva costituito con i prestanome,
nonostante in quel patrimonio
ci sia un appartamento a Roma del valore
di circa un milione di euro».

L’impressione è che sia difficile pronosticare
quante altre candeline dovrà spegnere
il fallimento Frisani prima di leggere la
parola fine sui titoli di coda.