x

x

L’uomo prima di tutto

Quelle parole sono tornate a risuonare in
quello stabilimento. Cinquant’anni dopo.
«L’uomo vale più della macchina e più della
sua produzione».


Le parole di Paolo VI, pronunciate nella
storica messa del Natale 1968 davanti agli
operai e alla classe dirigente di allora, le
ha riproposte con fermezza l’arcivescovo
Filippo Santoro nel precetto pasquale che si
è svolto in Ilva mercoledì 28 marzo. Anche
questa volta, stessa morfologia di pubblico:
operai, autorità, management aziendale.
C’era anche lo stato maggiore di Arcelor
Mittal, il nuovo acquirente chiamato a
garantire un futuro più a misura d’uomo
per questa azienda nata sessant’anni fa
per sfamare una terra affamata di lavoro.

Eppure già nelle parole di Paolo VI era
chiaro il rischio che si correva: anteporre
al valore della vita, altri valori. «Abbiamo
mezzo secolo di storia e di tanti errori alle
spalle – ha detto monsignor Santoro – ma
la matrice di questi errori è sempre la medesima.
Anteporre il consumo al lavoro e
la produzione all’uomo». E questa visione
che ha lasciato in secondo piano il valore
della vita, ha finito per uccidere la speranza
di allora, la speranza di una fabbrica che
schiudeva per Taranto “magnifiche sorti e
progressive”.

Troppo in fretta, invece, si è consumata la
stagione del sogno di diventare una grande
e moderna città europea. Di quel sogno
sono rimaste solo alcune imponenti tracce
urbanistiche e architettoniche: il ponte
Punta Penna, la Bestat, la Concattedrale.
Le ambizioni di grandezza si sono fermate
lì. Perché ciò sia accaduto – tra colpevoli
distrazioni di massa, negligenze e dolose
responsabilità politiche – è materia sulla
quale continueremo ad interrogarci ancora
per anni. Oggi abbiamo una sola certezza:
quella sottolineata senza inutili eufemismi
dall’arcivescovo: «L’Ilva è diventato un
caso di coscienza permanente». E la coscienza
ci riporta a quelle parole pronunciate
da Paolo VI cinquant’anni fa. «Sento
bruciare queste parole come inascoltate»,
ha detto monsignor Santoro. «Le ho sentite
risuonare severe in me dopo la sentenza
che ha stabilito che il Decreto Governativo
dell’estate 2015 fu incostituzionale perché
non tenne conto in primis del bene dei lavoratori.
Per questo mi corre l’obbligo di
ricordare in questa santa messa tutti i vostri
colleghi che hanno perso la vita sul lavoro».

«E quindi – ha concluso l’arcivescovo – nasce
dal più grande stabilimento siderurgico
d’Europa la domanda ai nostri nuovi governanti
che sia innanzitutto rispettata la vita,
l’ambiente e la dignità dei nostri lavoratori».
Questa è la nuova speranza di Taranto,
quella che ha soppiantato tra indicibili
sofferenze l’ambizione di sentirsi proiettata
in una dimensione internazionale. Oggi,
questa terra tornata ad essere povera e avara
di lavoro, al netto di posizioni estreme e
velleitarie, vorrebbe sperare in una fabbrica
a misura d’uomo. Rispettosa di chi ci lavora
e di chi la respira pur non lavorandoci.
Nella certezza che questa terra non potrà
più continuare a dipendere unicamente
dal colosso d’acciaio e che solo attraverso
un percorso di consapevolezza collettiva
si potrà costruire un futuro migliore, una
Taranto sana e produttiva da consegnare
alle nuove generazioni, salvandole da un
malinconico destino di migrazione.

Enzo Ferrari
Direttore responsabile