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Foresta urbana, un errore urbanistico

«Si tratta di un intervento banale che non qualifica il contesto urbano e non attrae il capitale umano. Il rischio è di produrre altra ghettizzazione»
L’area al rione Tamburi tra il cimitero San Brunone, la zona industriale e le case parcheggio dove sorgerà la foresta urbana

La pianificazione urbanistica è il nodo irrisolto che da decenni affligge la città di Taranto, vittima di scelte che spesso sono sembrate improvvisate, prive di visione e che, negli anni, hanno portato alla nascita di quartieri carichi di enormi problematiche di carattere sociale. Errori che non sono serviti a correggere il tiro, come dimostra la scelta di costruire il nuovo ospedale San Cataldo in una zona vergine, del tutto inurbanizzata: consumo di suolo e rischio di speculazioni edilizie. Per questo, mentre è stato affidato al professor Karrer il compito di elaborare il nuovo piano urbanistico, crediamo importante avviare un dibattito sul tipo di scelte che vanno compiute. Oggi ospitiamo un interessante intervento dell’architetto Antonio Fanigliulo, che pone una serie di importanti interrogativi sulla Foresta Urbana che dovrebbe sorgere al rione Tamburi per compensare gli effetti dell’inquinamento. L’auspicio è che altri studiosi e professionisti del settore possano esprimere la propria opinione. Le pagine di TarantoBuonasera sono aperte al confronto.

 

Si nota grande interesse, consenso ed entusiasmo mediatico e popolare e delle istituzioni addette alla cosiddetta “Foresta urbana” che il Comune di Taranto, dopo anni di gestazione, si accinge a realizzare al Quartiere Tamburi, a ridosso del Cimitero di San Brunone. Stupisce che, valutato l’Impatto Ambientale e il contesto Urbanistico, a nessuno fra quanti hanno responsabilità istituzionali e di Governo del Territorio, magari illuminato, venga in mente che, con evidente attendibilità di memoria storica della cultura delle città, probabilmente il suddetto intervento è l’ennesimo grave “errore urbanistico” che l’Ente Civico commette ai danni della sua stessa Città. È appena il caso di osservare che la Città di Milano ha da poco portato a compimento un Concorso Internazionale di Progettazione Architettonica per riscattare e riconvertire l’area del famigerato e deleterio “Bosco della Droga” – Parco Cassinis – nel quartiere ex industriale di Rogoredo, balzato agli onori della cronaca nazionale per essere divenuto luogo di malcostume, malessere e criminalità.

Quindi per eliminare un grande “buco nero” venutosi a creare, nonostante il suo contesto urbano già qualificato, e per realizzare al suo posto, all’interno di un’area verde pubblica di circa 20.000,00 mq, il “Bosco della Musica” struttura polifunzionale, attrattiva e strategica, richiesta e utilizzata dal Conservatorio “G. Verdi” della stessa città meneghina. Al contrario, la Città di Taranto su un’area residuale di circa 106.000,00 mq (ben cinque volte più grande) si avvia a creare un pericoloso, preoccupante e biasimevole nuovo “vuoto urbano”, la cosiddetta “Foresta urbana” a ridosso del Cimitero di San Brunone; occluso dalla superstrada Ta-Br, immersa in un contesto urbano ed edilizio dequalificato e affetto da uno “sprawl urbano” dei più avvilenti, deleteri e pregiudizievoli, determinato, per tutto il Quartiere Tamburi-Porta Napoli, da una capacità insediativa di circa 150 mq/ab, ricadente, per la tecnica urbanistica, fra gli “Indici della ruralità urbana”. Dopo l’ex ILVA, il più grande (E) Orrore Urbanistico di tutti i tempi, seguito dai Quartieri Salinella, Paolo VI, Taranto Due, lo stesso Quartiere Tamburi e la svendita/regalo del “gioiello” della Città – le case della Città Vecchia sull’Isola Madre – ecco che sembra arrivare per la “Città dei due mari” un altro grande e grave errore del Governo del Territorio. Chiaramente frutto di totale assenza di Pianificazione Urbanistica, di assoluta mancanza di Visione Urbatettonica della Città, del Modello Urbano da perseguire, dei suoi carichi demografici differenziali, oltre che di un evidente deficit di “creatività” e “bellezza”. L’obiettivo sembra essere smarrito.

Ormai, più che parlare di “rigenerazione Urbana” forse sarebbe il caso, e più opportuno, affrontare con coraggio, competenza e determinazione, il tema della “degenerazione urbanistica” che da troppi anni affligge la Città di Taranto e nella quale sta sempre più inesorabilmente scivolando. Si può comprendere l’entusiasmo e la soddisfazione popolare per la scelta di realizzare la foresta urbana, gli alberi, il verde e i fiori, ma anche l’asfalto e il cemento; tuttavia si fa davvero molta fatica a intendere e condividere quella degli addetti ai lavori e, soprattutto dei professionisti della materia Urbanistica. È il Capitale Umano che fa la città! Diversamente è solo un “luogo” in cui si custodiscono manufatti più o meno pregevoli. La capacità di “attirare” risorse umane ad occupare e vivere onorevolmente quegli spazi, è la sfida della Urbatettura. Per il particolarissimo contesto ambientale, morfologico, socio-culturale e di densità abitativa nel quale si inserisce, oltre che per la sua notevole estensione verosimilmente la tanto osannata “foresta urbana” andrà ad accresce re, in maniera significativa e determinante, lo sprawl urbano, il disagio sociale e la ghettizzazione di tutta quell’area e dell’intero quartiere Tamburi-Porta Napoli, già oggetto di vari pregiudizi. Architettura e criminalità è il tema, ormai sempre più importante e imperante, improcrastinabile, al quale gli addetti ai lavori, e soprattutto gli Architetti, non possono più sottrarsi o sottacere. Gli esempi: dalle “Vele” di Scampia, al “Corviale” di Roma, lo “Zen “di Palermo, il “Librino” di Catania, le “lavatrici” e il “serpentone” di Genova, il “Pilastro” di Bologna, “Quarto Oggiaro” a Milano, “Zingonia” a Bergamo, le “Piaggie” e “Sorgane” a Firenze, “San Paolo” a Bari, “Arghillà” a Reggio Calabria. L’Architettura è una condizione del benessere come del pensiero. Il “modello urbano”, come la “tipologia edilizia” e la “forma architettonica”, non sono, e non possono essere, “indifferenti” ai contenuti. Sicuramente molti immaginano e invocano il Central Park nel distretto di Manhattan a New York (341 Ha, 3,41 Km2).

Per quanto ci interessa, è un caso che non si può assolutamente imitare né prendere in considerazione, per alcuna ragione, perché esso giace “baricentrico” in un contesto urbano ad altissima densità abitativa, e non soggiace alla rendita immobiliare. La letteratura urbanistica e la sociologia urbana forniscono molti spunti e casi proprio di “aree a verde pubblico”, e persino “attrezzato”, che in presenza di contesti urbani a bassa densità edilizia e abitativa, e/o privi di funzioni “terziarie” e con modeste rendite immobiliari, quanto più estesi, tanto più facilmente si trasformano in pericolosi e inaccessibili “buchi neri” che divengono pregiudizievoli per tutta la Città. Col dovuto rispetto, pur salvaguardando gli aspetti vegetazionali, botanico-floreali e biofitodepurativi, dell’intervento, tuttavia non si può sottacere che si è di fronte ad una proposta progettuale banale e delusoria, priva di connotati e caratteri artistico-architettonici in grado di esaltare e celebrare le potenzialità dell’Area e dell’intervento stesso in un contesto urbatettonico povero e non qualificato, né lo qualifica. Neanche si possono ignorare le promiscuità funzionali che tendono a minare gli aspetti paesaggistici e della bellezza urbana. Forse, se proprio necessario, bastava prendere spunto da Roberto Burle Marx, o avvicinarsi a qualcuno dei suoi interventi. In questi casi, l’unica garanzia di salvezza è proprio la creatività. Per non mancare i rigori di politica urbanistica e di Governo del Territorio, rincresce pensare che con le conquiste che dopo mezzo secolo anche la Regione Puglia è riuscita a darsi – come la Compensazione e la Perequazione Urbanistica – ancora lo stesso Governo della Città di Taranto tarda, e non riesce a farne tesoro, per avviare processi urbatettonici nuovi e innovativi che nel breve-medio termine – con costo circolare a saldo “paritario/zero” – portino l’intero quartiere Tamburi-Porta Napoli, quindi l’Isola Madre, ad un Nuovo Modello Urbano ecologico, compatibile e sostenibile, ad alta efficienza e autonomia energetica; a medio-alta densità abitativa (C.I. media 50,00 mq/ab), contenendo il consumo di suolo, tutelando, godendo e utilizzando le potenzialità del suo bellissimo doppio bacino di Mare: perché Taranto, Città della Magna Grecia, è il mare.

Valutato lo stato di fatto complessivo e del patrimonio immobiliare esistente, anche profittando delle provvidenze offerte per la “Rigenerazione Urbana” e dai provvedimenti legislativi di ultima generazione per la “Transizione Ecologica”, la messa in sicurezza sismica e antincendio degli edifici, gli adeguamenti alle barriere architettoniche, ai parametri igienico-sanitari e impiantistici, l’efficientamento delle Reti ed Energetico del patrimonio immobiliare pubblico e privato, con gli avanzati sistemi tecnologici di cui oggi disponiamo, sicuramente sarebbe possibile mettere in atto e avviare per il quartiere Tamburi-Affaccio Mar Piccolo della Città di Taranto un processo di vera e qualificata Rigenerazione e Valorizzazione Urbana, da attuare mediante interventi mirati e “discreti” di “rottamazione e ricostruzione edilizia” avanzata che consentirebbe la creazione di una “Ville Radieuse” (Le Corbusier) “Città Parco”, amena, ad elevatissima impronta Umanistica: Città a misura d’Uomo. Come si è detto, con costo circolare a saldo “paritario/zero”. Al contrario, certe scelte del Governo del Territorio della Città di Taranto, sempre più spesso settoriali e circoscritte, appaiono improvvisate, inefficaci e sterili, talvolta controproducenti, persino pregiudizievoli e ghettizzanti. Più che degne di lodevoli apprezzamenti, sembrano essere inficiate dalla debolezza e infondatezza del pensiero urbatettonico che le supportano non riuscendo a coagulare il Carico Urbanistico necessario e sufficiente per la loro stessa determinazione. Soprattutto pesa la abdicazione dello stesso Ente Civico che, invece, ha il dovere di esercitare la “Potestà Conformativa” del disegno della struttura urbana che le appartiene. E non consentire che le volontà e i poteri decisori del Modello Urbano, delle Tipizzazioni e delle Destinazioni d’Uso della “Città pubblica” siano appannaggio delle iniziative dei singoli, ancorché pregevoli e illuminate. Senza dubbio la “regalia” delle case della Città Vecchia è la dimostrazione più lampante, evidente e vera di un deficit di visione e capacità di pianificazione della Città, di gestione e forse anche di conoscenza, valutazione e interpretazione dei processi di Rigenerazione, Trasformazione e Valorizzazione Urbana.

Dimostra la distrazione, forse proprio il fallimento, di un Governo Urbano che non appare in grado di avanzare proposte urbatettoniche strategiche e innovative, ad alto fattore attrattivo, socioculturale e di investimenti, recuperando e portando a vita attiva – con capacità di produrre reddito (immobiliare) – la parte migliore, il cuore, del suo stesso Patrimonio Urbatettonico, Artistico e Culturale; attardandosi, invece, su progetti vaghi, inconsistenti, banali, talvolta polverosi e ingialliti. Soprattutto che non ottengono Carico Urbanistico sufficiente, ovvero che non attraggono il Capitale Umano! È appena il caso di ricordare il recente Concorso di Progettazione Urbatettonica bandito da Invitalia per la città di Taranto per il recupero della “Isola Madre”. Verosimilmente, rivelatosi vano e “deludente” proprio per l’assenza di proposte, contenuti e obiettivi strategico-innovativi di valorizzazione urbanistica e socioculturale, nonché di redditività immobiliare e terziaria. A seguire, la più assurda, quanto scellerata scelta e visione urbatettonica di destinare “Palazzo Frisini”, nel Borgo di Taranto, a contenitore “ibrido” per realizzare incongruenti e irrazionali “residenze universitarie”.

Mancare queste occasioni vuol dire “affossare la Città! Gettando lo sguardo oltre una banale visione di Rigenerazione Urbana, il finanziamento utilizzato per la foresta urbana, unitamente ad altre provvidenze in atto o che potrebbero intervenire, dovrebbe costituire l’occasione per una «Palingenesi Urbatettonica Perequativa per il rifacimento e la Valorizzazione del Quartiere Tamburi con la creazione di un Nuovo Modello Urbano ecocompatibile-sostenibile e il contenimento del Consumo di Suolo, da attuarsi con la tecnica della Perequazione Urbanistica Integrata e Generalizzata, mediante la Rottamazione Edilizia post-bellica priva di connotati storici, culturali e di qualità architettonica». Ciò, nella convinzione che nell’attualità “Fare Urbanistica” voglia significare « … avviare un processo di Pianificazione Urbanistico-Territoriale di “Nuovissima Generazione” – perequativo, generalizzato, coordinato e integrato – che porti, nel medio e lungo termine, alla “trasformazione radicale” dei sistemi urbani recenti ovvero, attraverso la prospettiva degli “scenari futuri” e l’individuazione di conseguenti “Nuovi Modelli Urbani”, alla ri-costruzione di “Nuove realtà Urbane e territoriali” che vedano l’Uomo e il suo ambiente protagonisti indiscussi e al centro dell’attenzione per abitare “Città vivibili e del benessere” e mantenere il territorio nelle sue amenità, senza deturpamenti e senza spreco di suolo». Oggi più che mai, le scelte Urbanistiche (e di Governo del Territorio) che si attuano, devono essere coraggiose e competenti, e perciò in grado di “intercettare la condizione esistenziale dell’uomo nel suo tempo” e di conformarsi tempestivamente ai suoi bisogni e cambiamenti, talvolta anche repentini. Non riteniamo degni di essere definiti “Rigenerazione Urbana quegli interventi che, al più, possono definirsi di “decoro urbano” (rifacimento di marciapiedi, realizzazione di fioriere e aiuole verdi, installazione di lampioni, ecc.) lasciando poi che le reti e i sistemi infrastrutturali urbani, pubblici e privati, e soprattutto le “residenze” restino nel degrado. Antonio

Fanigliulo
Architetto