Non solo acciaio, ma non senza acciaio. Lo rimarcano tanto il presidente nazionale di Confindustria, Carlo Bonomi, quanto quello di Confindustria Taranto, Salvatore Toma. E sostanzialmente è d’accordo anche il sindaco di Taranto, Melucci, che però pianta immediatamente paletti: non siamo contro l’acciaio, ma questo territorio è stufo di questo modo di fare l’acciaio. Siamo a Taranto, nella Sala a Tracciare dell’Arsenale militare marittimo, che ospita l’assemblea pubblica di Confindustria Taranto, con un tema problematico: “Taranto. Le sfide della transizione”.
Problematico e cruciale, tanto che l’assemblea si configura quasi come gli Stati generali di Confindustria: c’è il presidente nazionale, Bonomi, ci sono tre vicepresidenti e numerosi presidenti di federazioni nazionali; spicca tra questi il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi. E poi c’è il presidente di Confindustria Puglia, Fontana, insieme con molti altri esponenti del mondo imprenditoriale. Ci sono tutte le autorità militari, a partire dal padrone di casa, il direttore dell’Arsenale, ammiraglio ispettore Pasquale De Candia, e dal comandante del Comando marittimo Sud, amm. div. Flavio Biaggi. Non è solo un atto di cortesia: l’Arsenale è stato la prima e a lungo più importante industria di Taranto (e della Puglia), e il legame fra la Marina e Taranto è strettissimo. E si stringe ancora di più, evidenziano i due alti ufficiali, attraverso la cooperazione, che si intensifica, con l’Università di Bari e col Politecnico di Bari, i cui due Rettori, Bronzini e Cupertino, sono anch’essi presenti ed intervengono nel confronto. Legame con i due atenei, e in generale con le Università, pubbliche e private, della Puglia che viene sottolineato ed esaltato da Toma e Fontana e dai due Rettori.
E ci sono il prefetto e il questore di Taranto. Prima dell’inizio dell’assemblea, il presidente Bonomi è stato intervistato dai numerosi giornalisti presenti. Su questioni di interesse locale ma rilevanza nazionale, come la secessione di oltre 50 ditte dell’indotto siderurgico, che hanno lasciato Confindustria per fondare una propria associazione (“io ritengo che Confindustria lavori sempre nell’interesse dell’industria, del Paese e anche di coloro che non sono iscritti; per esempio, proprio a proposito dell’ex Ilva, c’è stato un incontro che ha riavvicinato azienda e sindacati, che era un po’ che non si incontravano, e ha permesso al Mef di staccare un assegno di 680 milioni. Abbiamo lavorato per tutti, quindi nessun problema”). Su questioni nazionali come l’avvio del processo che porterà alla cosiddetta “autonomia differenziata” (“venerdì scorso abbiamo affrontato la questione in un convegno in Confindustria; rileviamo che l’autonomia è prevista in Costituzione, alcune materie previste 22 anni fa, però, come ci ha insegnato l’esperienza, vanno affrontate in chiave europea: le grandi infrastrutture di energia o di trasporto per esempio; così come rileviamo che sarebbe difficile introdurre i Lep, livelli essenziali di prestazione, con un sistema di finanza pubblica invariata; e infatti il testo approvato ieri dice che prima di applicare i Lep vanno finanziati, se no le differenze e le diseguaglianze che vogliamo colmare con l’autonomia non riusciremo ad affrontarle”).
Su questioni europee, come la politica dei tassi della Bce (“vanno bene le politiche anti-inflazione purché non ci portino in recessione e su questo credo che qualcuno debba avere anche coscienza dei propri limiti; di Draghi ce n’è uno, ed era italiano. Un conto, e lo ritengo corretto – ha aggiunto – è combattere l’inflazione, ricordando però a tutti noi che la nostra inflazione è diversa da quella degli Stati Uniti, la nostra è una inflazione importata per il costo delle materie prime e dei costi energetici”). “Il nodo Acciaierie d’Italia – ha affermato Bonomi – è molto complesso; trae origine dal 2012 e da lì purtroppo non c’è stata una soluzione ma una serie di provvedimenti; passaggi fondamentali sono adesso finanziare investimenti e indotto; giusto il primo provvedimento che consente di pagare le aziende che hanno fornito energia, ma non basta: dobbiamo garantire anche il pagamento di piccoli e medi imprenditori dell’indotto, che si trovano in grosse difficoltà, e garantire gli investimenti perché abbiamo bisogno di un polo produttivo dell’acciaio non di 3 milioni di tonnellate ma di almeno 6 milioni; per far questo c’è bisogno del revamping di Afo 5, occorre mantenere alcuni impianti, e affrontare una transizione che durerà 10 – 12 anni, ma se non facciamo investimenti la cosa è impossibile”.
Di Afo 5 ha parlato anche il presidente di Federacciai: “l’Italia è già leader in Europa nel cosiddetto acciaio green, nella decarbonizzazione (80% a fronte di una media europea dl 40%), ma non si può produrre acciaio solo con forni elettrici: un po’ perché già adesso dobbiamo importare rottami, un po’ perché bisogna considerare che rispetto al ciclo integrale l’elettrificazione riduce l’occupazione ad un terzo, se non un quarto della forza lavoro. Quindi per Afo 5, almeno fino alla data del 2035, bisogna ricorrere ai sistemi di cattura dell’anidride carbonica, nei quali peraltro Eni è leader con consolidata esperienza”.
Anche il presidente di Confindustria Taranto, Toma, ha parlato di siderurgia: “Taranto è al momento l’unica realtà del Paese in cui convergono tutte insieme le potenziali trasformazioni indotte dalla transizione: ambientale, tecnologica, energetica, economica”; e verso Taranto c’è grande attenzione: “solo per Taranto il Just Transition Fund mette a disposizione795 milioni di euro a fronte di un importo totale per l’Italia di 1,211 miliardi; dopo l’ok della Commissione Ue la Puglia, che si conferma regione virtuosa nell’uso dei fondi, come ha ricordato qui l’assessore regionale Delli Noci, avrà una dotazione di 5 miliardi e mezzo per le nuove linee di intervento dei fondi strutturali Fesr 2021/2027, che saranno impiegati per sostenere la transizione ecologica energetica e digitale e per promuovere uno sviluppo sostenibile da un punto di vista economico, sociale e ambientale. Risorse a cui si aggiungono quelle del Cis, Contratto istituzionale di sviluppo, dei Giochi del Mediterraneo e del Pnrr, che per la sola Provincia di Taranto prevede progetti pubblici infrastrutturali, già finanziati, per circa 660 milioni”.
“Gli ultimi accadimenti che riguardano lo stabilimento siderurgico di riportano a questioni ataviche e mai realmente risolte, come quelle del nostro indotto, ma anche ad evidenze di segno positivo, come l’apertura del ministro Urso verso un possibile Accordo di programma; plaudiamo all’opera di mediazione e di intervento del ministero, che continuerà con un tavolo permanente, e ci riferiamo soprattutto ad un ruolo di supervisione dello Stato, quale che sia il socio di maggioranza, ad iniezioni di liquidità che consentano al siderurgico di andare avanti ma che siano direzionate anche alle aziende dell’indotto, ai prossimi passi del governo nella transizione tecnologica e ambientale, come incentivare ed accelerare la decarbonizzazione, che tutta la comunità auspica, nel pieno rispetto dell’occupazione e della tutela sia dei lavoratori che dei cittadini dell’area jonica”.
Il sindaco Melucci ha ribadito che a Taranto non c’è chi sventola il vessillo della “decrescita felice”, ma che ci vogliono impegni concreti, “investimenti – al netto del Pnrr – nel piano nazionale dell’acciaio, visto che è considerato strategico per l’intero Paese e per tutta l’Europa (cosa richiamata anche da Fontana); a partire dall’Accordo di programma per il siderurgico – ha insistito Melucci – serve un patto di giustizia intergenerazionale”. Cambiare il metodo di produzione, perché “la transizione è costosa, ma è l’unica opzione che abbiamo”. L’attenzione del governo per Taranto è stata assicurata in un intervento da remoto dal ministro Raffaele Fitto, impegnato con la presidente Meloni in incontri internazionali, che ha confermato il proprio impegno a venire a Taranto quanto prima per incontri diretti, e sul territorio, con amministratori e forze sociali.