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«In questo carcere condizioni disumane»

L’atto d’accusa della Cgil-Funzione Pubblica
La delegazione sindacale davanti al carcere - foto di Francesco Manfuso

Non è un carcere a misura di detenuto e nemmeno di agente penitenziario. Il carcere di Taranto scoppia. Ma il problema non è solo quello del sovraffollamento e della carenza di personale di polizia. Dalla visita nella casa circondariale di via Magli della delegazione sindacale della Cgil-Funzione Pubblica sono emerse situazioni generali davvero disastrose.

«Questa è una struttura fatiscente», ha attaccato Mirko Manna, coordinatore nazionale della CgilFp per la polizia penitenziaria. «Parliamo di una struttura che risale al periodo delle “carceri d’oro”, anni ‘80, che ha talmente tante carenze da non garantire standard di sicurezza. Le celle sono fatiscenti e in alcuni reparti manca persino l’acqua calda. Nonostante ciò non ci sono investimenti né della Regione né del Dipartimento». La questione del personale: «La legge Madia ha depauperato gli organici di polizia penitenziaria. Qui abbiamo 817 detenuti da gestire con poco più di trecento agenti che, peraltro, non operano tutti all’interno. In pratica ogni unità copre quattro posti di servizio. Servono almeno cinquanta unità in più. Questo è un carcere nel quale si vive in condizioni disumane, nonostante l’impegno del direttore e del comandante. I detenuti fanno ricorso perché non ci sono gli spazi vitali previsti dalla sentenza Torreggiani che prevede almeno nove metri cubi di vivibilità per detenuto, qui a Taranto invece siamo ad appena quattro metri cubi. Così si produce una situazione sconcertante: prima li arrestiamo e li portiamo in carcere e poi li risarciamo per l’ingiusta detenzione. Abbiamo visitato altre carceri in Puglia e la condizione generale è al minimo della dignità umana. È tutto il sistema carcerario ad essere in default.

«Chiederemo alle istituzioni di intervenire – ha dichiarato Giovanni D’Arcangelo, segretario generale della Cgil Taranto – e lo chiederemo anche a quelle locali perché c’è una condizone di invivibilità per tutti, lavoratori e detenuti e il tema della sicurezza nelle carceri passa anche dalla vivibilità che c’è all’interno. Bisogna intervenire immediatamente». L’ispettore Luca Lionetti ha sottolineato proprio la difficoltà a seguire il percorso di rieducazione dei detenuti: «Siamo nell’impossibilità di assolvere ai principi costituzionali di reinserimento dei condannati. All’interno del carcere ci sono esseri umani, ma ciò che manca è l’intervento esterno: mancano gli educatori, non ci sono medici, non ci sono infermieri, mentre qui abbiamo più di cinquanta detenuti con problemi psichiatrici e trecento tossicodipendenti. Le famiglie a volte non riescono neppure a comunicare con i detenuti perché non c’è personale sufficiente. A volte siamo costretti a fare turni di 12 o 15 ore quando ci sono allertamenti. Questo carcere resta una comunità a sé, isolata. Lo Stato ci chiede cose che non siamo nella possibilità di fare. Bisogna farsi un giro qui dentro per capire davvero qual è la situazione.

Enzo Ferrari
Direttore responsabile