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Tra criticità e sfide future

LA SANITÀ UMBRA
Corsia di ospedale

L’Italia può essere vista come un laboratorio di analisi del profondo processo trasformativo indotto dall’emergenza sanitaria, che ha messo in luce l’inadeguatezza del sistema sanitario nazionale nonostante esso sia considerato uno dei migliori del mondo. Purtroppo, nella pratica, il Covid ci ha dimostrato quanto il sistema sanitario sia a macchia di leopardo e sia profondamente diseguale. Presenta pesanti disparità tra territori soprattutto in termini di accesso ai servizi ed esiti di salute e non si è dimostrato in grado né di adeguarsi ai mutamenti demografici e sociali, né di impostare strategie strutturate di prevenzione rispetto ai rischi di salute connessi alle grandi evoluzioni che interessano questa fase storica come le alterazioni dell’ambiente e i cambiamenti climatici.

Tra gli aspetti problematici che caratterizzano questa fase vi è una perdita, negli anni, in termini di equità, confermata dal progressivo spostamento della domanda verso il privato per ovviare ai troppo lunghi tempi di attesa e alla progressiva sfiducia nel servizio pubblico. Oltre a forti divari tra il Nord e il Sud del Paese, vi sono importanti squilibri tra regioni che hanno maggiormente puntato sulla privatizzazione e regioni dove il sistema sanitario è rimasto prevalentemente pubblico; regioni che hanno gestito il sistema sanitario regionale in condizioni di efficienza e regioni che hanno malgovernato, accumulando deficit di bilancio unitamente a una riduzione della qualità dei servizi sanitari offerti. In Umbria Il Piano sanitario preadottato dalla Giunta alcuni mesi fa ha riscontrato notevoli critiche da tutti gli stakeholders e persino dall’Università, risultando un documento generico che sconta prima di tutto la totale mancanza di partecipazione e confronto all’interno della società umbra, mancanza che ha di fatto prodotto un documento parziale e lacunoso, non coincidente con le principali criticità emerse durante e dopo la gestione della pandemia. Il futuro della sanità passa dal potenziamento dei servizi sanitari pubblici di prossimità nel territorio, nella riduzione degli inaccettabili tempi di attesa delle prestazioni e all’adeguamento degli organici. Le scelte della Regione a parole dicono una cosa e nei fatti fanno l’opposto: se appare condivisibile la scelta di potenziare il ruolo dei Distretti Sanitari, come primo livello di organizzazione e gestione dei servizi di Medicina sanitaria nel territorio appare assurda e contraddittoria la scelta di una loro eccessiva riduzione da 12 a 5.

Una riduzione che porterà a disparità di popolazione aggregata, disomogeneità territoriali, complessità di Governo gestionale ed operativo del Distretto, asmmetria con gli Ambiti sociali di zona, difficoltà di integrazione dei servizi socio–sanitari, difficoltà nel promuovere un sistema di partecipazione, anche dei cittadini in forma associata, alle scelte di gestione dei servizi sanitari nel territorio a partire dalle OO.SS. Terzo Settore e dei Comuni. Per quanto riguarda l’avvio delle “Case di Comunità” indicate del DEFR è certo positiva la scelta di ampliare questa esperienza ma per il conseguimento delle finalità indicate e previste sarà importante e decisivo il ruolo dei M.M.G., PLS e dei Medici Specialisti ambulatoriali. Per questo sarebbe opportuno prevedere specifici accordi fra Regione e OO.SS. dei Medici per facilitare la loro collaborazione a livello distrettuale, con le “Case di Comunità” prevedendo, magari, anche sistemi premiali che incoraggino e facilitino tali collaborazioni. Al rafforzamento della medicina di territorio, alle case di Comunità, agli H. di Comunità, ai COT ed ai servizi di prevenzione della salute andrebbero finalizzate gran parte delle risorse del PNRR dedicate alla Sanità. In questo quadro la nuova bozza del Ddl Calderoli per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, pensata per modificare il quadro delle competenze attribuite alle Regioni, con particolare riferimento al comparto sanitario, rischia di avere conseguenze deleterie specie per le regioni più in difficoltà e meno popolate come l’Umbria. Tutto ruota intorno a due principi: i costi standard e il superamento dei LEA (livelli essenziali di assistenza) con introduzione dei LEP (livelli delle prestazioni) che saranno definiti attraverso DPCM da una apposita Commissione Tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al TAR ma non davanti alla Corte Costituzionale.

Il Parlamento dunque non avrà alcun potere di intervento sulle disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle Regioni e i LEP rimarranno orfani di risorse, fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro sud e quelle del nord. Ciò significa che ci saranno Regioni in cui verranno garantiti livelli base e altre che, grazie a maggiori disponibilità economiche potranno andare ben oltre i LEP ; a parità di patologia infatti avremo Regioni che si potranno permettere di dare cure ed assistenza adeguata, potendosi permettere di pagare la differenza fra il costo standard della prestazione minima e il costo totale di una cura appropriata, e altre no. Tutto ciò comporterà una sperequazione e una palese discriminazione dei cittadini su una base territoriale; infatti Regioni come l’Umbria, ad esempio,in alcuni casi dovranno decidere se interrompere le cure in corso o mettere a carico dei malati i costi eccedenti senza contare che non è da prendere in considerazione l’ipotesi di autorizzare le singole aziende sanitarie a coprire gli stessi costi eccedenti mettendoli in bilancio visto il “buco” di bilancio ad oggi esistente in Umbria, quantificato in oltre 250 milioni. La situazione ed il contesto difficile non sfugge a nessuno: il contesto finanziario è caratterizzato da una estrema variabilità, legata alla crisi energetica e all’aumento dei prezzi delle materie prime e quindi l’impatto sui tassi di interesse e sull’inflazione determina effetti sui bilanci pubblici, sia dal punto di vista della variabilità delle entrate, ma soprattutto dal punto di vista delle spese. Proprio in fasi come questo occorre coniugare alla VISIONE la capacità del CORAGGIO di compiere scelte difficili e individuare le PRIORITA’, quelle che la Regione Umbria sembra davvero non avere.

Andrea FORA
Consigliere Regionale,
Presidente CIVICIPER