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Il Mezzogiorno unito può davvero invertire la rotta

IL COLLASSO DEL SISTEMA SANITARIO
Il Mezzogiorno visto dal satellite

La sanità rappresenta uno dei grandi temi che unisce e evidenza le differenze tra le diverse parti del Paese. Sino a poco tempo fa la bilancia pendeva, senza se e senza ma, a favore del ricco e progredito Nord.

Poi l’avvento inaspettato del Covid ha mostrato tutta la fragilità dell’intero Sistema Sanitario Nazionale, aprendo più di una riflessione sulle cose da fare per rendere la Sanità adeguata alle sfide che ci attendono. Ovviamente le cose da fare variano a seconda delle diverse aree del Paese, se al Nord necessita riorganizzare la sanità territoriale che è quasi sparita, come appalesato con la pandemia, al sud il ragionamento è più strutturale, poiché le carenze sono più ampie e di maggiore portata. Anzitutto la ricerca e la formazione. La prima necessita di ritornare ad essere sostenuta in maniera seria. I fondi per la ricerca sono stati via via ridotti, tanto da non assumere più quel ruolo centrale nell’azione di governo. Lasciando la stessa, in buona parte, al sostegno di donazioni da parte di cittadini coinvolti con le varie campagne periodicamente avviate.

Anche la formazione dei nuovi operatori della sanità lascia più di qualche dubbio. Il numero chiuso per le facoltà afferenti alla medicina dovrebbe essere rivisto, stante che i medici sono carenti su tutto il territorio nazionale mentre i nostri giovani sono costretti a migrare in altri paesi europei. Il risultato di tutto questo è rappresentato dalla migrazione “studentesca” verso paesi meno performativi del nostro, per coloro che non possono permettersi facoltà di nazioni ricche, mentre chi ha famiglie agiate si dirige verso gli atenei di grandi paesi europei. Nel mentre sempre più grave è la mancanza di medici, tanto negli ospedali che sul territorio, costringendo intere aree a richiedere medici da altri paesi, come l’infornata di camici bianchi provenienti da Cuba dimostra. Per quella parte residuale di ragazzi che riescono ad entrare nei corsi di studio a numero chiuso, le cose non vanno per la maggiore. Occorre una revisione seria ed articolata del sistema di studio che per come è organizzata oggi non produce niente di serio per chi esce dalle nostre facoltà, se non una conoscenza teorica di concetti generali su come affrontare le questioni pratiche. Una stupidaggine dietro l’altra.

Laddove si riuscisse a risolvere in breve tempo le carenze di personale, mediante la riapertura dei corsi alla partecipazione dei ragazzi, occorrerebbe mettere mano ad un grande piano di adeguamento degli ospedali che per buona parte sono inadeguati per sostenere una popolazione aggredita da sempre nuove patologie. Prova evidente ne sia che nel corso della pandemia, moltissimi reparti sono stati chiusi per affrontare la sfida covid, riconvertendoli al loro uso e bloccando ricerche importanti con effetti devastanti nel medio termine. Naturalmente gli stessi risultati nefasti non tarderanno a farsi sentire sugli screening che pure sono stati fermati. Da un recente convegno promosso a Napoli da “motore sanità” su “Pnrr, ipercolesterolemia, rischio cardiovascolare, tra bisogni irrisolti, innovazione e nuove necessità organizzative -Lazio/Campania/ Sardegna” è emersa in tutta evidenza l’urgenza di rispondere a bisogni irrisolti, innovazioni non sempre accessibili e nuove necessità organizzative delle reti di connessione tra medicina di famiglia, specialistica degli ambulatori, distretti e ospedali. Nelle regioni del centro sud solo il 20 per cento della popolazione affetta da questo dismetabolismo raggiunge i valori target indicati dalle linee guida e dalle Società scientifiche per la prevenzione. In Italia, ogni anno, per malattie cardiovascolari muoiono più di 224mila persone (23mila in Campania, un po’ di più nel Lazio e un po’meno in altre regioni del Sud come la Sicilia, la Puglia e la Sardegna) Il nodo da sciogliere è dunque consentire un accesso rapido e appropriato ai percorsi di cura. Il Sars-19 ha dimostrato in modo palese che la sanità, così com’è, non è in grado di affrontare nuove ed inaspettate situazioni, continuando, nel contempo, a svolgere quell’azione di monitoraggio e controllo che un popolo anziano come il nostro non può farne a meno. Quindi formazione di nuovi camici bianchi, sostegno della ricerca e ospedali, sono da rivedere.

Ma la sanità territoriale non può essere esclusa da una riorganizzazione dell’intera macchina. Anzi, la medicina territoriale deve essere un elemento centrale della sperata revisione. Bene le unioni dei MMG in strutture uniche coadiuvati da infermieri e da una segreteria adeguate, rappresentano un buon punto di partenza per decongestionare gli ospedali aggrediti da ogni piccola cosa. Ma fino ad ora è solo una bella aspirazione in fase assolutamente sperimentale. Chi ha l’onore di guidare le regioni meridionali si deve confrontare con la ineludibile necessità di riorganizzare l’intero modello del servizio sanitario, ed i proclami, più o meno di colore populistico, non bastano. Occorre competenza unita ad una visione politica che consenta una lettura territoriale complessiva. Ed il primo atto è chiedere, senza indugi, una revisione della ripartizione dei fondi per sanità che cosi com’è non esiste. Ma se questo risultato non si ottiene, è perché il meridione non è rappresentato quasi per niente nelle stanze che contano e nello stesso tempo perché questa parte di Paese è vista con infinito sospetto da “poteri forti”. Se non si ottengono risultati, occorre unire la voce delle varie regioni meridionali per avere maggiore forza ed autorevolezza. E’questa una delle tante proposte avanzate da Mezzogiorno Federato, parlare a nome di oltre 20 milioni di cittadini darebbe più forza alle proposte e a chi le fa.

Ma diciamoci la verità i “governatori” sono stati troppo distratti per ascoltare voci flebili ma estremamente autorevoli. Troppo autoreferenziali e pieni di boria per capire che forse qualcuno stava dicendo qualcosa di sensato. E questo non può essere ulteriormente tollerato. In questo breve articolo abbiamo parlato di ricerca, università, medicina territoriale. In poche parole ci siamo occupati della salute dei cittadini che è messa sempre più a rischio. Non è una notizia nuova se diciamo che l’aspettativa di vita nel mezzogiorno è notevolmente ridotta rispetto a quella di altre parti del paese, ed a questo si deve aggiungere che la qualità del tempo di vita è fortemente penalizzato sempre in confronto alle altre parti della Nazione. E’ arrivato il momento di porre un freno ai proclami che restano tali, sostenendo una idea politica, sociale e culturale che unisca il Mezzogiorno, che, a ben guardare, è l’unica speranza di invertire una rotta che ci porta a disastri annunciati.