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Mes per salvare il Servizio Sanitario Nazionale

SALUTE, UN LUSSO PER RICCHI
La sanità malata

Il Covid ha messo a durissima prova gli ospedali pubblici e reso evidente la straordinaria importanza di una sanità capace di misurarsi sia con l’emergenza che con la normalità. L’ottimismo della ragione ci aveva indotti a credere che le sue criticità, già acute prima della pandemia, fossero poste al centro dell’azione politica. Purtroppo continua a prevalere una scarsa consapevolezza della gravità dei suoi problemi. Sta riesplodendo, in tutta la sua drammaticità la questione dell’ineguaglianza dei cittadini rispetto all’esercizio del diritto costituzionale alla salute.

Le cause sono note, ma i rimedi sono una sfida ancora terribilmente incerta, perché la crisi è sistemica, e risolverla richiede una svolta insieme politica, finanziaria, organizzativa che ancora non si vede. Prima della pandemia, secondo il Censis, 19,6 milioni di italiani si sono visti negare almeno una prestazione dei livelli essenziali di assistenza in un anno. Per la lunghezza della lista di attesa, hanno proceduto a farla di tasca propria: ogni 100 tentativi di prenotazione, 28 sono finiti nel privato. La maggior parte della popolazione non può permettersi la sanità a pagamento; il ritardo di una cura o di una diagnosi spesso va ad aggravare la condizione del paziente. Il ricorso alla Sanità a pagamento è l’esito, non di una corsa al consumismo sanitario inappropriato, ma di prestazioni prescritte da medici che i cittadini non riescono ad avere in tempi adeguati nel Servizio sanitario. E’ in crescita costante la spesa che gli italiani sostengono di tasca propria per curarsi. La metà di questa spesa è per visite specialistiche ed analisi di laboratorio. In sostanza: chi può paga, gli altri aspettano, sperando di farcela… Il tema della non autosufficienza si intreccia in modo indissolubile con quello dei servizi sociosanitari, che da lungo tempo subiscono feroci tagli lineari.

Negli ultimi 10 anni dalla sanità pubblica sono stati drenati qualcosa come 35 miliardi di euro, con conseguenze drammatiche nel sistema-salute ospedaliero e territoriale, che ha fatto svanire oltre 70mila infermieri, 35mila medici e 100mila posti letto, con il deperimento inaccettabile delle infrastrutture e la chiusura di tante realtà, specialmente di prossimità. Le risorse del Fondo Sanitario nazionale, sono state e restano insufficienti ad assicurare una crescita normale della spesa sanitaria, richiesta anche dall’invecchiamento della popolazione e relativo incremento del bisogno di cure specialistiche e terapie riabilitative lunghe e costose. Stiamo spendendo più di quanto lo Stato finanzia il Servizio Sanitario Nazionale attraverso il Fondo Sanitario Nazionale. Il fondo oggi è di 128 miliardi e la previsione di spesa dichiarata dalla Corte dei Conti in Parlamento è di circa 134 miliardi. Il rischio è maggiore rispetto allo scorso anno quando avevamo chiuso intorno ai 133 miliardi e ora le risorse non ci sono. A questo si aggiunge il modello organizzativo che blocca il turnover dei medici. Siamo arrivati al punto che se, su dieci medici in reparto, quattro vanno in pensione, gli altri sei devono far fronte al lavoro che facevano in dieci. Ne risente inevitabilmente la qualità del lavoro, si ha meno tempo per parlare con i pazienti, per assisterli in maniera adeguata.

E così i professionisti scelgono altro implementando il sistema dei “gettonisti” che offre maggiori guadagni, con una qualità di vita migliore rispetto a quella stressante che si vive all’interno del Sistema Sanitario Nazionale. Avere una tac nuova, senza un numero adeguato di tecnici di radiologia e un numero adeguato di radiologi che consentono di utilizzarla il macchinario diventa inutile. La strategia più importante che è stata delineata, è quella, finanziata con i 20 miliardi del Pnrr, del potenziamento della medicina generale e della pediatria di base che passa attraverso la costituzione di 1430 “Case di comunità sanitaria”. Per renderle funzionanti occorrono investimenti in attrezzature sanitarie e in personale. Al loro funzionamento dovranno concorrere anche i medici di famiglia, anch’essi un comparto in piena crisi, di numeri, efficienza, nuovi ingressi. I costi di gestione del SSN sono a carico dell’erario, ovvero del denaro delle tasse pagate dai cittadini italiani. A tale riguardo, dati riferiti allo scorso anno dicono che è solo il 13% dei contribuenti dichiarante redditi superiori 35.000 € che sta «portando sulle spalle». Così il sistema non può reggere. La risposta a questi gravissimi e urgenti problemi non può essere certamente il cosiddetto «regionalismo differenziato», di un Servizio come quello sanitario che è e deve rimanere «nazionale» per Costituzione.

L’Ocse non ha dubbi nel suo ultimo rapporto “Ready for the next crisis? Investing in health system resilience”: «Nuove crisi al di là di un’ulteriore pandemia potrebbero mettere a dura prova la comunità globale: resistenza antimicrobica, conflitto armato, cambiamento climatico, crisi finanziaria, minacce biologiche, chimiche, informatiche e nucleari, disastri ambientali e disordini sociali. Fattori di stress cronici come l’invecchiamento e il cambiamento demografico mettono alla prova i sistemi sanitari e aggravano l’impatto delle crisi. Investire maggiormente nei sistemi sanitari per consentire ai nostri Paesi di non farsi cogliere impreparati e resistere in modo più efficace a futuri shock pandemici». Con l’oscuramento delle prospettive per il 2023 e molteplici crisi come la guerra della Russia contro l’Ucraina, le pressioni inflazionistiche e l’insicurezza energetica, i governi devono affrontare scelte politiche difficili. Tuttavia, investimenti intelligenti e mirati nella resilienza del sistema sanitario andranno a vantaggio delle società, garantendo che gli elementi costitutivi siano presenti e pronti per la prossima crisi. Senza tali investimenti, sottolinea l’Ocse, i costi saranno maggiori e l’impatto sulle persone maggiore.

Il netto rilancio del finanziamento pubblico è stato imposto dall’emergenza pandemica e non dalla volontà politica di rafforzare in maniera strutturale il SSN. Una mancata intenzione confermata dalle previsioni del DEF 2022 e della NaDEF 2022 che nel triennio 2023- 2025 prevedono una riduzione della spesa sanitaria media del’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/PIL che nel 2025 precipita al 6,1%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. Nonostante le maggiori risorse investite, il confronto internazionale restituisce risultati simili a quelli dell’era pre-COVID: nel 2021 la spesa sanitaria totale in Italia è sostanzialmente pari alla media OCSE in termini di percentuale di PIL (9,5% vs 9,6%), ma inferiore come spesa pro-capite ($4.038 vs $ 4.435). Soprattutto, la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è ben al di sotto della media OCSE ($ 3.052 vs $ 3.488) e in Europa ci collochiamo al 16° posto: ben 15 Paesi investono di più in sanità, con un gap dai $ 285 della Repubblica Ceca ai $ 3.299 della Germania. Qualunque sia la formula, che sia chiami Mes o altro, bisogna correre ai ripari per la sanità. Se il Governo crede nella sanità pubblica e vuole salvarla dovrebbe mostrare coraggio e richiedere il Mes. Con 37 miliardi offerti a tasso inferiore rispetto a quello di mercato possono dare vigore a un’azione di riqualificazione, rigenerazione, rilancio delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale.