«Se fino a un po’ di mesi fa il commercio tarantino era a braccia conserte, nel senso che lavorava poco in attesa di tempi migliori, oggi a causa del coronavirus questo settore è letteralmente in ginocchio». Non fanno giri di parola i commercianti tarantini. La situazione è grave in tutta Italia, nei contagi come nei conti di fine serata. Magrissimi. Non si batte scontrino. «Situazione drammatica, in tanti anni di attività non si era mai verificata una cosa del genere; non solo la clientela, ma la gente in senso generale: letteralmente evaporata».
I commercianti si domandano dove siano finiti i tarantini. In fila, il più delle volte fuori dalle attività commerciali di prima necessità: panifici, generi alimentari e supermercati. Mezzogiorno, ieri, via D’Aquino e via Di Palma, piazza Immacolata, cuore del Borgo, deserte. La gente rinuncia a circolare per le vie del centro, tante volte ci fosse un incosciente, amico, parente, conoscente, non importa, che in uno slancio di affetto si lanciasse al collo schioccando un bacio. Non succede, ma se accadesse, ecco la mascherina. La indossano piccoli e grandi. Tarantini in fila per comprare pane, acqua, pasta, zucchero, quasi a prepararsi a un futuro ancora sconosciuto, di sicuro alzando prudenti barricate. Le mascherine, le indossano i ragazzi che portano la spesa a domicilio, lo stesso chi sta alla cassa. Come le ragazze che servono un caffè, anche loro con la mascherina, in un bar che in rispetto alle norme indicate dal Decreto del Governo in fatto di Sicurezza sanitaria, ha tracciato sul pavimento linee in rosso e “x”, per tenere a distanza di sicurezza un cliente dall’altro.
Dunque, il commercio. Via Anfiteatro, negozio di articoli da regalo. «Stiamo registrando un calo notevole – secondo Gianluca Delle Foglie, titolare dell’attività – direi che siamo ai minimi storici e, all’orizzonte, niente di incoraggiante: momenti frenetici, ci consultiamo fra colleghi attraverso qualsiasi social e chat attivati per scambiarci impressioni, ma anche condividere in tempo più o meno reale soluzioni pratiche per non continuare a farci del male più di quanto questa ossessione da coronavirus non abbia fatto».
Avanza una cifra, una ipotesi. «Penso ci sia stato un calo dell’80% – sostiene Delle Foglie – la gente pensa più a cautelarsi, che a comprare regali, un atteggiamento comprensibile; ogni mattina sanifichiamo i locali, rispettiamo le distanze dalla clientela, di più non possiamo fare: sono in attesa, come la maggior parte dei colleghi, di conoscere direttive definitive da seguire; se bar e ristorazione dovessero chiudere – secondo quanto ventilato in queste ore – non so a cosa serva che i negozi aprano nel pomeriggio: a questo punto, apriamo le attività solo al mattino».
«E’ un momento di comprensibile confusione – dice Angelo Pignatelli, titolare di un negozio di abbigliamento – ma, a scanso di equivoci, ho voluto dare un segnale forte ai colleghi: i capi per la stagione primavera-estate tardano ad arrivare e, allora, chiudo, fino al prossimo 18 marzo; non sono per le mezze misure, in un momento di incertezza, invoco la chiusura, poi ognuno faccia come crede e come è giusto che sia; questa mattina – ieri, per chi legge – sono andato in uno studio medico: il dottore teneva i pazienti a due metri di distanza, quasi a trasmettere la pericolosità del venire a contatto; insomma, il coronavirus non è febbricola passeggera e va considerato con la massima serietà».
Una città “addormentata”, secondo Nicola De Florio. «E’ quasi un colpo di grazia al commercio tarantino – dice il titolare di “Max” – con una industria che langue e vive in continua contraddizione con il territorio, il coronavirus dal punto di vista del commercio è da considerare la madre di tutte le sciagure; non voglio sembrare catastrofico, ma anche in questo caso Taranto sembra una città distratta; mai come in questo momento c’è bisogno di stare uniti, tutti, prendere una decisione per il bene dell’intera comunità: restare aperti con l’attività fino ad un orario preserale? Restiamo aperti, ma dobbiamo farlo tutti insieme e non, come accaduto talvolta, a macchia di leopardo; rischiamo di disorientare noi commercianti e la stessa clientela».
«Dia un’occhiata fuori, via D’Aquino: deserta – dice Domenico Della Fortuna, “Louis” – un’immagine da film di fantascienza. Ho sentito i commessi di due negozi che appartengono a brand importanti, per uno le direttive indicate dall’azienda-madre sarebbero quelle di restare aperti fino alle 19.00, per l’altro si parla addirittura di una chiusura totale fino a metà aprile; non possiamo parlare di scarsa affluenza, non l’abbiamo registrata affatto: il centro, di solito, è aggregatore, riunisce, evidentemente il timore del contagio stavolta ha avuto l’effetto contrario; c’è paura che lo “struscio”, la paura che un luogo frequentato, diventi un boomerang, con tutti i contraccolpi che questo può provocare».
«Mezzogiorno di coprifuoco». Gianni Geri, decano dei commercianti tarantini, non usa mezzi termini. «Letteralmente fermi – dice il commerciante, incontrato all’interno di “Lord”, negozio di abbigliamento – come, del resto, in tutta Italia: sono in stretto contatto con colleghi di altre città, ovunque è la stessa cosa; aria di crisi, seria, come non mi era capitato di vedere in sessant’anni di attività; mai conosciuto un periodaccio come questo: passato attraverso austerity e virus che avevano messo a letto mezza Italia, mai avrei pensato di assistere a una cosa così; se tutto dovesse andare bene, di sicuro tocca pensare in prospettiva invernale: questa sciagura abbattutasi su tutti gli italiani – qualora fosse trovato un rimedio a breve – potrebbe avere sì una ripresa, ma lenta, purtroppo».