Il principe Harry avrà il merito, passato al giudizio implacabile della Storia, di essere stato uno dei più grandi promotori della lettura in tutto il mondo! Un promotore sopra le righe, pieno di ragioni molto personali, ma che – in ogni caso – hanno allungato la vita di tanti editori in tutto il mondo e rivitalizzato le tasche impoverite di molte librerie. Non accadeva dal fenomeno Dan Brown. L’ironia amara di questa storia poco felice è che al capezzale di questa vicenda, siano accorsi giornalisti e addirittura tutti i telegiornali. Tutti, fino al TG1, l’informazione di un paese che sceglie (nelle ore di punta) di trasformarsi in una gigante macchina di pubblicità del gossip. Invece la buona notizia è che il libro, pare sia scritto come si deve grazie a J.R. Moheringer già famoso autore, non più fantasma, del capolavoro Open di Agassi. Ovviamente se ne parla qui, solo per dovere di cronaca… d’altronde chi siamo noi per giudicare cosa sia Letteratura e cosa no?
PRINCE HARRY – “Spare” – Mondadori
È stata una delle più strazianti immagini del Ventesimo secolo: due ragazzini, due principi, che seguono il feretro della madre sotto gli occhi addolorati e inorriditi del mondo intero. Mentre si celebrava il funerale di Diana, principessa del Galles, miliardi di persone si chiedevano quali pensieri affollassero la mente dei principi, quali emozioni passassero per i loro cuori, e come si sarebbero dipanate le loro vite da quel momento in poi. Finalmente Harry racconta la sua storia.
ENNIO FLAIANO – “L’occhiale indiscreto” – Adelphi
Ci sono autori, ha scritto Garboli, che hanno saputo amministrarsi con oculatezza: da loro, «una volta passati a miglior vita, non ci aspettiamo più nulla». E ci sono i dissipatori, gli eccentrici come Flaiano, che la morte «tradisce e smaschera». È dunque nelle sue carte disperse, nei libri usciti dopo la sua scomparsa che troviamo «una verità che non ci è stata detta». Tanto più in questo, che dal 1941, allorché comincia ad occuparsi di cronaca, ci conduce sino ai pezzi di costume del 1970- 1972. Per Flaiano, infatti, la satira è già nella cronaca e nel costume: basta saperli guardare. Basta cioè guardare «fatterelli» in apparenza irrilevanti con un «occhiale indiscreto» (così si chiamava la rubrica che teneva nel 1945), capace cioè di applicare – per usare le parole di Anna Longoni – una «correzione metonimica».
Prodigiosamente, la capacità visiva ne risulterà modificata e il dettaglio si trasformerà in patente, irridente testimone del tutto. Vale a dire degli inestirpabili vizi degli italiani: la natura di voltagabbana, il cinismo che sempre induce verso la parte del più forte, la «leggerezza di carattere», l’intolleranza, la colpevole smemoratezza. Con gli anni, «l’orrore, la pietà e anche lo sconforto» che queste debolezze suscitavano si andranno accentuando, e l’ironia, di fronte ai fenomeni di costume degli anni Settanta (la smania delle crociere, il femminismo, la passione per il calcio, il culto della Makina, il turismo di massa), si farà più amara, tagliente: sino a suscitare la solitudine del satiro, sino a fargli dire «ho vissuto abbastanza per poter affermare in piena coscienza che dietro ogni italiano, me e voi compresi, si nasconde un cretino».
Antonio Mandese
Libraio ed editore