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Tommaso Anzoino, il preside con la Magna Grecia nel Dna

Oggi al Mudit la presentazione del libro postumo “Storie di mezza giornata”
Tommaso Anzoino

Oggi pomeriggio, 3 febbraio, alle 17, nel Mudit, Museo degli illustri tarantini, in via Plateja nr. 51, per iniziativa di Lions e Leo club Taranto Aragonese, dell’Associazione nazionale Aldo Moro fra ex alunni ex docenti e docenti del liceo Archita e della cooperativa Museion sarà presentato il libro postumo di Tommaso Anzoino “Storie di mezza giornata” (Mandese editore). Introduce la presidente del Lions Aragonese, Francesca Donnaloia; interviene Francesca Poretti, presidente della delegazione di Taranto “Adolfo Mele” dell’Aicc, Associazione italiana di cultura classica; presenta il libro il giornalista Giuseppe Mazzarino, presidente dell’Associazione Aldo Moro.

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Tommaso Anzoino è stato – ma direi è, perché lo sentiamo ancora presente nella vita culturale della città – una personalità poliedrica, come spesso capita a chi ha nel Dna la Magna Grecia, ereditando da Pitagora quella “polimatia”, ovvero conoscenza di molte cose, alla quale Eraclito, in polemica coi suoi predecessori, attribuì invece il significato di “conoscenza ampia ma superficiale”. Anzoino avrebbe acconsentito, perché per lui divagare sulla superficie, con leggerezza, non era da considerare cosa disprezzabile, anzi. Nato a Torino il 10 novembre del 1939 da famiglia d’origine jonica, si trasferì presto a Taranto, dove frequentò quell’Archita che non è stata soltanto la prima scuola di Taranto, in ordine di tempo, ma anche, a lungo, la più importante istituzione di cultura, non solo di istruzione della città bimare.

E nel liceo ginnasio che ebbe come studenti Cesare Giulio Viola ed Aldo Moro, ma anche Odoardo Voccoli, sindaco comunista di Taranto dopo la II guerra mondiale, ebbe l’imprinting. Imparò ad amare la cultura classica, ma non come qualcosa di polveroso, di museale nel senso restrittivo del termine, di chiuso, di passatista. Questa visione tutt’altro che statica della cultura umanistica si rafforzò negli anni d’Università, dove ebbe la fortuna di avere come docente di Lingua e letteratura spagnola Vittorio Bodini, il cui magistero persuase il giovane Tommaso che la poesia non è solo fare versi a quindici/sedici anni, ma anche nel pieno XX secolo ha una dignità, una forza, una legittimità ben dopo l’adolescenza. E il giovane Tommaso fu anche poeta (l’unico libro di versi, “Esame d’incoscienza”, lo pubblicò nel 1983). Da professore fu anche non conformista e dialogante; il che nella scuola reazionaria (anche quando benignamente reazionaria) non era pratica troppo diffusa. Insieme con l’insegnamento, e con gli studi letterari ad ampio spettro (il suo “Pasolini” fu scritto e pubblicato quando il poeta polemista e regista cinematografico era vivo, e si apre con una intervista che Pasolini concesse nel 1970, nella propria abitazione, al giovane studioso; è stato ripubblicato da Palomar nel nuovo secolo) coltivava la passione politica. Comunista.

E ad un certo punto assessore comunale alla Cultura in una giunta di sinistra; con una forte visione di una Taranto “vivente”, apprezzato anche dalle opposizioni, pur in anni di forte appartenenza politica. Politikòn zôon ovvero animale politico nel senso pieno con cui Aristotele definiva l’uomo, Anzoino fu comunque soprattutto uomo della scuola. Professore, a Manduria poi nel liceo scientifico Battaglini, dove fu anche vicepreside, quindi preside, prima della media Galilei poi del magistrale Aristosseno, infine del “suo” liceo, l’Archita, che resse per 11 anni, ancora ubicato nella sua sede storica, il Palazzo degli Uffici. Anche come preside era non conformista. All’insegna del “nisi caste, caute” (se non castamente, cautamente), per evitare che i suoi studenti si affollassero pericolosamente nei traballanti, famigerati cessi pensili (servizi igienici alloggiati in camerini aggettanti sul cortile e sostenuti da alla bell’e meglio di traversine e pali) per fumare, trasformando oltretutto gli angusti stanzini in camere a gas, trasformò un’aula in “zona franca” dove fumare era tacitamente consentito (oggi sarebbe del tutto impossibile). Sciarpa al collo e cappello nero, lo si incontrava più spesso nei corridoi, dove si intratteneva con i professori i bidelli e gli studenti, che nell’ufficetto dove aveva sede la presidenza.

Non si considerava un dirigente d’azienda, come già una certa mistica della scuola-azienda andava predicando, ma un educatore. E da preside del classico, con solida formazione umanistica, cercava di svecchiare quanto più poteva il nobile liceo, con iniziative culturali e sociali a largo raggio. Incoraggiò il proseguimento, per esempio, della ben strutturata esperienza di teatro globale che fu Architeatro, a cura di Nella Albanese e Serafina Sangirardi: non solo adattamento di testi non solo teatrali in musical e messinscena ma studio dell’autore e del suo contesto, e coinvolgimento di centinaia di giovani in ogni ruolo, dalla scenotecnica alla realizzazione o reperimento dei complementi d’arredo all’illuminotecnica ai servizi di accoglienza e vigilanza in teatro; e poi nei balletti, nelle comparsate, nei ruoli attoriali… in anni bui per lo spettacolo e la cultura, l’Archita suppliva con questa annuale, colossale operazione teatrale, aperta a tutta la città. Incoraggiò anche, senza mai intervenire o interferire, l’esperienza di un giornale studentesco/scolastico, “Vox”, frutto di corsi di giornalismo tenuti dallo scrivente.

Palestra di giornalismo, di educazione civica, di socialità. Quando lasciò la presidenza, i ragazzi di “Vox” lo omaggiarono mettendo in copertina il capoccione di Archita sormontato dal cappello di feltro nero che ormai simboleggiava il preside. Alla guida di un liceo classico, che stava però inglobando il magistrale e si apriva ad altri indirizzi, Anzoino proseguì nella produzione letteraria: e, sorpresa (fino ad un certo punto), lo fece all’insegna di una sorta di avanguardismo, ribelle alla punteggiatura, all’insegna di uno sperimentalismo un po’ futurista un po’ surrealista, ma anche e soprattutto del monologo interiore e del flusso di coscienza. Joyce e Berto, certo, ma anche – in ispecie nel suo libro postumo, “Storie di mezza giornata”, largamente indefinibile: romanzo? metaromanzo? retroscena di un romanzo (come il “Retroscena” del futurista Mario Carli)? libro di novelle concatenate? – il Cesare Giulio Viola di “Pricò”. Oltre agli interventi su “Galaesus”, la rivista-annuario dell’Archita (nata come annuario per iniziativa di Giovan Battista Massafra, trasformata in rivista-annuario e battezzata col nome dello storico fiume da Felice Medori), Anzoino esplicò una intensa attività giornalistica, come opinionista, sulla Voce del Popolo e sul Corriere del Mezzogiorno, intensificata dopo la pensione. Senza mai dimenticare l’Archita, e sempre interessandosi al destino di quel Palazzo degli Uffici dal quale il liceo fu definitivamente sfrattato nell’estate del 2013 e che lui sperava di riuscire a vedere restaurato, beninteso con l’Archita al suo interno. Da ex alunno ed ex preside, ma non ex architense: perché chi è passato dall’Archita ex non diventa mai. Tommaso Anzoino, uno di noi.