«Quella di Bruno Ceccobelli è un’arte in cammino, rivolta a un Oltre che attrae, chiama e si offre come inesauribile meta. Tanti i sentieri esplorati e le tecniche affrontate, ma sempre con quella sete e quella aspirazione di Infinito che traspare in ogni sua opera». Giovanni Gazzaneo è il curatore di “Mysteria Manifesta” la mostra personale di Ceccobelli, su progetto di Giulio De Mitri e realizzata in collaborazione con il Mysterium Festival, che sabato 18 marzo (ore 18.30) si inaugura nello spazio museale del Crac Puglia.
Giornalista e critico d’arte, Giovanni Gazzaneo ha ideato “Luoghi dell’Infinito”, mensile di arte e cultura di “Avvenire”, di cui è responsabile fin dal 1997. È autore o curatore di una trentina di libri d’arte e fotografia e, in qualità di esperto, ha fatto parte della Commissione Cei per le nuove chiese. Con lui abbiamo parlato dell’arte di Bruno Ceccobelli e persino delle vicende artisticopolitiche della città di Taranto. «Nell’arte di Bruno – spiega il critico d’arte a TarantoBuonasera – percepisci questa tensione indirizzata verso l’Oltre. Questa ricerca che non ha una risposta definita e che non rivela una frattura tra materialità e spiritualità. In una visione cristiana è sbagliato credere che esista una contrapposizione tra corpo e spirito. Bruno crede profondamente nello Spirito Santo come guida ispiratrice della sua opera creativa. In un mondo nel quale si gioca restando in superficie, lui ci invita ad andare nel profondo, perché le risposte le trovi nella ricerca interiore, dentro di te, non al di fuori».
La tensione spirituale nell’opera di Ceccobelli è alimentata anche da quelli che l’artista considera i suoi maestri del pensiero, un ponte ideale tra Oriente e Occidente: Gioacchino da Fiore e Jacopone da Todi, Gialal al-Din Rumi, Maestro Eckhart e Aurobindo, Paracelso e Nicolò Cusano, Eraclito, Pitagora e Platone. Fino ad arrivare all’amato San Francesco. Un rivoluzionario. «Ecco – dice Gazzaneo – la rivoluzione di San Francesco non è sociale, culturale o artistica, sebbene senza San Francesco non ci sarebbe stato Giotto. Francesco va alle radici della vita cristiana e davvero capisce che tutto è guidato dalla Provvidenza, per cui quando decide di farsi povero e lascia tutti i beni del suo babbo mercante, lo fa con grande gioia perché sa già di avere tutto: “Sono figlio di Dio, cosa posso avere di più?”». Sentimenti profondamente presenti nell’arte di Ceccobelli. «Sì, in Bruno c’è questo spirito francescano. Lo vedi dalla povertà degli elementi che compongono le sue creazioni: pezzi di stoffa o di candele, frammenti di legno, suole di scarpe che rappresentano il cammino oppure un piatto scuro che diventa il simbolo di una tensione verso l’infinito. Quello che mi colpisce di Bruno è che lui riesce a tendere verso l’infinito utilizzando cose molto semplici che ricomposte con il suo colore, il suo lavoro, assumono un valore artistico: questo è il grande segreto di Bruno Ceccobelli».
Ma la ricomposizione di oggetti poveri non è lasciata al caso, non è un mero artificio di superficie. «Io non credo in quelle operazioni per cui prendi un bicchiere, lo poni in un contesto artistico e lo fai diventare opera d’arte solo per questo. Non credo che l’arte possa ridursi semplicemente ad un concetto, quella è un’idea hegeliana. L’arte è un processo che si esprime con modalità diversissime ma che alla base ha un’idea che deve essere plasmata. Non si crea dal nulla, nemmeno l’artista più grande crea dal nulla. L’unico che crea dal nulla è Dio. L’artista però fa qualcosa che non fa nessun altro: imita il processo creativo. Questa è la grandezza dell’artista. Quindi, un’artista come Bruno riesce a dare dignità artistica a cose molto povere, grazie all’idea, al lavoro, alla visione. Riesce a far diventare questi oggetti qualcosa che quegli stessi oggetti, da soli, senza l’opera e l’idea dell’artista, non potrebbero mai aspirare ad essere». La bellezza anche nelle piccole cose… «La bellezza è il vero volto dell’essere, è il vero volto di Dio. Nella Genesi, il momento della creazione viene sempre commentato da un solo attributo: “e vide che era cosa bella”. Quindi la bellezza è al centro della Creazione. Per i greci la bellezza era pura armonia, era perfezione, era qualcosa di utopico, di impossibile; la bellezza cristiana, invece, accetta il finito, la fragilità, persino il dolore: vedi la bellezza nel Crocifisso, nel Dio che sta morendo. La bellezza cristiana è vera e non utopica perché abbraccia tutti, si apre all’infinito, non ha paura di superare il limite, che poi è la ricerca continua, come fa Ceccobelli nel suo percorso artistico». Dall’arte di Ceccobelli alle controversie che stanno sorgendo sui progetti di riqualificazione di Piazza Fontana e di Piazza Castello, a Taranto.
Città che, secondo alcuni cittadini eccellenti, sarebbe stata attraversata dal “deserto culturale” del Novecento: «Chi dice che il Novecento a Taranto sia stato un deserto culturale parte da una posizione che rivela una grande ignoranza. Basti pensare che a Taranto c’è la Concattedrale di Gio Ponti, uno degli esempi più luminosi dell’architettura sacra a livello mondiale. Avere a Taranto quest’opera di Gio Ponti significa avere uno dei vertici del Novecento. Lo stesso dicasi per Piazza Fontana di Nicola Carrino, un’opera nella quale l’arte si fa architettura. Questo è un altro grande esempio di come la creatività trovi un vertice proprio nella città di Taranto. Quindi il punto di partenza non è azzerare il proprio passato, ma soprattutto conoscerlo, amarlo e valorizzarlo, perché senza passato non c’è futuro e nemmeno presente. Questo passato bisogna farlo nostro e quindi vi è necessità di fare un lavoro per capire bellezza e ricchezza che chi ci ha preceduto ha lasciato in eredità. E su questa eredità bisogna costruire il nostro futuro».
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile