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19 marzo, Festa del papà: ricorrenza per riflettere

la ricorrenza civile dedicata alla paternità e all’influenza sociale dei padri in famiglia.
19 marzo, Festa del papà

I giovani – si sa – riescono a parlare con la madre, e si evidenziano, a volte, percentuali molto più elevate rispetto a quelle caratterizzanti il dialogo con la figura paterna. E, se la disponibilità a parlare, da parte della madre, cala su argomenti sportivi e di attualità politica, centrale rimane il suo ruolo nel processo educativo a cui fa riscontro una mancanza di autorevolezza della figura del padre che, in talune situazioni, addirittura “sfuma”.

Nelle non poco diffuse forme di sgretolamento domestico (anche se, talora, non solo!), la figura paterna è sempre meno vicina ai figli, in forza degli impegni di lavoro e dei noti stereotipi culturali, con gravi conseguenze negative per i processi identificativi.

Occorre piuttosto rilanciarne l’importanza nel processo di formazione: presenza asimmetrica, stile relazionale aperto, sensibilità psicologica e vicinanza fisico-affettiva paiono indispensabili. Esemplare il ruolo schizzato da Patrick Svensson, “Nel segno dell’anguilla” (2019), in cui rievoca le giornate con il padre che guida il figlio a pesca di anguille nei rigagnoli e negli acquitrini fornendogli tanti esempi di vita (dai posti buoni per la pesca ai consigli) e favorendo la pur lenta costruzione del rapporto. Il che potrebbe portare – forse – a pensare a un luogo/angolo esclusivo tra padre e figlio/a, spazio privilegiato, innescando un processo fortemente simbiotico.

Atteggiamenti di stima, simpatia, cura e calore da parte del genitore portano a atteggiamenti analoghi e corrispondenti nel/la figlio/a: la sincronizzazione delle asimmetrie si realizza tramite un accordo su sentimenti reciproci positivi.

In particolare, saper intervenire attraverso il saper “leggere” i figli, le loro “storie di vita”, e il gioco delle relazioni che tessono le loro esistenze, tenendo conto del processo di sviluppo-emancipazione e di crescita personale, in vista del traguardo dell’autonomia personale e di una strutturazione interiore più ricca possibile.

Vale a dire: condurre ora al raffreddamento della centralità dell’affettività in vista della promozione della razionalità nell’affrontare i problemi; ora riaccendendo la stessa affettività ove essa sembra spegnersi per un eccessivo razionalismo. Il tutto può avvenire attraverso una revisione dei connotati asimmetrici nel rapporto padre-figlio, attuando un’effettiva comunicazione educativa e facendo cadere resistenze e sospetti, senza, però, mai perdere – si badi – in autorevolezza. La riflessione educativa più matura ha rivolto una particolare cura perché si eviti lo scivolamento nella patologia dell’affettività: il sentimentalismo, il narcisismo, e quant’altro.

Viceversa atteggiamenti negativi di distacco, di disistima emozionale, di rifiuto relazionale da parte del padre, il pater familias, con le chiusure assolute del rigido padrone di casa nella vita del figlio, un padre quasi mitico, severo, ma cercato con ostinazione, come racconta con acribìa magistrale Franco Ferrarotti nel suo memoir, “L’uomo di carta” (2019). Un padre che ripete: “Lasciami stare”. E il sottotesto è peggiore: “Guarda me, sono stanco. La vita mi è pesante”. Un padre che non solo ignora la passione del figlio (lo studio), ma che addirittura finisce con l’allarmarlo per il suo futuro. Vistosamente dimenticando di quel padre-montagna che gli abitava dentro e che i versi di William Pitt Root esprimono, nella loro sinteticità, con straordinaria leggiadria: “Tu eri al mio fianco Tu eri la montagna che ostruiva la meta di un cielo colmo di stelle. Io ero piccolo nella profondità della tua ombra, fissavo l’acqua nera e barche sfavillanti“.

Ancora: padri che inducono a una sincronizzazione delle asimmetrie basata su sentimenti negativi reciproci: come le vicende assurde, narrate da Jonas Hassen Khemiri (La clausola del padre, 2019), di bambini obbligati ad andarlo a prelevare al terminal degli autobus, in aeroporto. Questo non esclude che esistano comunque situazioni diverse e complesse in cui il genitore finisce con l’accettare la sua impotenza, come mostra Philip Roth in “Pastorale americana” (trad. it., 1998), descrivendo sforzi, drammi, dolori, di un padre nei riguardi di una figlia irrecuperabile.

Di fondamentale rilevanza rimane, tuttavia, il (modello di) comportamento offerto dalla coppia. Tocca a questa avvalorare il senso della loro unione, cogliere gli effetti umanizzanti della comunicazione reciproca, reagire a una cultura desacralizzante dell’amore, corroborare l’etica coniugale (e gli equilibri non raramente instabili sui quali poggia), reagire alle delusioni della vita moderna senza cadere nell’angoscia, e cercare di attuare le potenzialità insite nel matrimonio.

Certo, i modelli che si presentano oggi nelle famiglie sono ormai plurali e questo – e lo dico con estrema cautela – non è sempre negativo, proprio perché si dà la possibilità di scegliere il modello più affine, purché ci sia sempre, e comunque, il riferimento forte a un padre e il riferimento forte a una madre, non solo nella fase iniziale del rapporto, ma anche in seguito.