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Chiusa la stagione letteraria, arrivano i nuovi premi

Antonio Scurati

Si chiude la stagione e giungono i nuovi premi. Dovranno fare i conti con i libri del recente passato, quel­lo ante covid. Per la poesia si deve considerare il rilevantissimo libro di Renato Minore “O caro pensie­ro” premio Viareggio (Nino Ara­gno editore); per il Premio Strega il romanzo di Antonio Scurati, al­tro scoglio veramente difficile da evitare, con il suo “M. Il figlio del secolo” (Bompiani).

Per la verità chi qui scrive pro­pende per il libro di quest’ultimo Viareggio, a mio parere di assoluto rilievo nella letteratura degli ultimi vent’anni. “O caro pensiero” porta la nostra poesia a vertici davvero alti; il libro prende il nome, non ca­sualmente, da una delle liriche, re­alizzata interamente con una dop­pia voce, nella quale l’autore indica un canto e controcanto come es­senziali alla comprensione. È una delle più fortemente originali, tut­tavia, per la tematica che affronta, cioè il pensiero: è una lirica “gui­da”. Un’indagine intellettuale che porta “il ricordo”, la sincerità verso (contro) se stessi. Il peso ed il ruolo del pensiero nella vita di ognuno di noi è lo sviluppo del libro. Un atto coraggioso. Sarei felice di destrut­turare i versi del controcanto che chiudono ogni quartina ed aprono a quella seguente. Sono tredici; ma non posso farlo qui, quindi mi fer­mo ai primi due. Eccoli: “Se resta traccia sulla spiaggia”, e l’altra, “che strana la lena del ricordo“.

Il fascino raccolto dalla secon­da voce appare una parola molto consueta, quasi tradizionale. Non è così invece nell’interezza della lirica: “Da quella fessurina / pare dipenda che io / sia proprio io e non l’altro io / che vorrei tanto es­sere io”; è a questi quattro versi che risponde la prima voce “Se resta traccia sulla spiaggia”. Si conclu­derà con il controcanto, cioè, “O caro pensiero”. Poi gli altri quattro versi: “Ora capisco / che il gioco non è la corda / che tendi ma la scatola / che richiudi / a prova d’e­rosione”. Ma “o caro pensiero” è anche l’inizio di un verso di poco sopra, quello del vero canto. Cosic­ché canto e controcanto si confon­dono. Un gioco o una verità, quella confusione di ruoli? L’apparente discorsività, quasi racconto di parti del testo, dice che il poeta chiede a se stesso se quanto ha incontra­to nella vita sia davvero nel suo pensiero, cioè nella sua coscienza. Siamo in presa diretta con la realtà noi che ci illudiamo di conoscerla? Sorge così il dubbio che noi non si possa esserne certi. Perché? An­che il farsi della vita muta il mondo e muta il pensare, come cambia noi stessi, negli eventi. Il libro porta a voler fare i conti con se stesso, una sfida alla verità profonda del poeta.

Nella presentazione Raffaele Ma­nica pone il problema, con una ricerca ben condotta. La difficoltà del vivere riporta il tempo che tra­scorre e il cambiamento del con­testo attorno a noi che moltiplica la difficoltà del comprendere. La poesia al padre, tra le più determi­nanti figure, porta a riflettere: sei tu quel padre che sei nel ricordo, certo. Ma sei nel pensiero del mio io di oggi; ti conosco “solo” at­traverso il pensiero del mio oggi. Qual è la scansione giusta del mio pensarti?

Non diversamente dal suo antico libro “Le bugie dei poeti” Mino­re è sospinto da un estremo, acu­tissimo bisogno di chiarezza. Le liriche sono questo struggimento, e queste di oggi sono addirittura della massima intensità. Un biso­gno psicanalitico di sentirsi impri­gionato in certezze a cui l’uomo non può dare risposte. Ricordo che anni fa in un mio breve lavoro su Minore riportai questa riflessione sulla sua poesia, e seguivo le nota­zioni di Mario Luzi e di Giuseppe Pontiggia. Raffaele Manica ripor­ta le valide intuizioni di Walter Pedullà: “la sua poesia (di Renato Minore) procede per antitesi”; e di Giovanni Raboni: l’apparenza di racconto vuol nascondere nella semplicità dello scrivere la terri­bile intensità del vivere. E niente è più complesso del semplice. “Tu sei solo quel pensiero che è anche / la sola immagine del sogno, gi­ravi intorno / a una piazza sotto la torre dell’orologio. / Ed io che non vedevo bene i numeri / da miope avrei visto sempre meno. // In quel niente continuavi ad esserci. (Dalla poesia “Trittico paterno”). Questo libro di poesia sarà difficile da di­menticare.

Lo Strega del 2019 ha avuto un vincitore annunciato, per un libro che aveva ricevuto polemiche infi­nite e viaggiava sulla forte onda di vendite ben sostenute. Il romanzo narra la storia del figlio del secolo, Mussolini, rintracciato nell’abbri­vio che lo porterà al potere. Narra la vicenda umana del futuro ditta­tore, quella della solitudine e persi­no disperazione di quei primi anni, inviso a Dio e a li nimici sui. An­tonio Scurati fotografa il periodo più arduo e incerto dell’esistenza del futuro dittatore e i primi tempi dell’ascesa, che alcuni avvenimenti fanno apparire quasi involontaria e dettata dal caso. All’inizio raccon­ta un perdente, che tale era Mus­solini tra il 1919 ed il 1921; una scommessa quasi impossibile. Poi la scaltrezza e la vivacità di una ripresa delle speranze di un uomo che ha ideali, così pare, ma forse il suo più autentico ideale è solo e soltanto se stesso.

Il più rilevante merito del romanzo è aver portato in primo piano l’uo­mo, incerto ma ambizioso; se poi sarà vincente avverrà attraverso in­certissimi momenti presentati con precisione storica quasi maniacale (a mio parere forse eccessiva). Mi­gliore resa è mostrarne con preci­sione i lati caratteriali, come quelli del maschio piacione, che in verità gli ha fruttato non poco (le donne erano spessissimo a lui disponibi­li), ma anche quello di una certa sensibilità. Non solo brutalità, in­somma. Il figlio del secolo è quasi … uno del gregge, nel periodo del­la ricerca della propria strada.

Eccolo nella comitiva di quelle adunate, prima stente e sfatte, poi invece vaste e infine oceaniche. L’immersione negli avvenimenti storici e la presentazione di perso­naggi impossibili da dimenticare (la Sarfatti, per esempio) rendono il testo robusto ed equilibrato. Ma Scurati vuol essere così preciso sul piano storico che talvolta il narrato fa pensare ad un testo di storia con ”alleggerimenti” da ro­manzo. Oltretutto c’è la esplicita intenzione dell’autore. Il romanzo si conclude quando tutto diventò tragedia, e la vicenda presenta un dolore che non si può dimenticare; così porta un grosso contributo a spingerci ad essere attenti ai valori della democrazia, e a perseguirli. Fra i due diversi generi forse la profondità della poesia la vince su tutto. Ma non è solo questo. Il piccolo libro di Renato Minore, evoluzione coerente di un denso percorso del poeta, offre una pro­posta lirica vincente ben al di là del momento.