In una società come la nostra, nella quale viviamo quotidianamente una mutazione epocale, il ruolo delle tradizioni popolari conserva sempre una notevole importanza.
Infatti oggi una festa non ha più l’intensità e la magia di una volta, ma spesso si trasforma in un comportamento festoso, in una occasione di vacanza o di compere affannose, cioè in un momento di totale consumismo.
Invece ripercorrere il calendario della vita ci permette di riflettere sul passato, sulla storia, sulle tradizioni e sulla religione di un popolo, per poter trarre da quel passato la spiegazione del presente che è intorno a noi e poter progettare il nostro futuro.
Ma, a ben guardare, il calendario della vita corrisponde al tempo circolare dell’anno, che ha ritmi stabiliti e durevoli nel tempo e nello spazio, forse diversi da latitudine a latitudine, ma scanditi sempre dal rapporto che l’uomo ha con la natura e che la natura ha con l’uomo.
I riti di passaggio
Il corso della vita umana si svolge, per il popolo, secondo una fitta e continua trama di forme tradizionali che ispirano, determinano ed interpretano via via le azioni e le situazioni che ne caratterizzano la vita. Alla base di tutte queste forme tradizionali vi sono dei riti che gli studiosi definiscono di passaggio, termine con il quale si intende il complesso delle cerimonie che si compiono per indicare le successive fasi attraverso le quali un individuo entra far parte di una comunità nei diversi gruppi sociali famiglia tribù ecc., secondo i momenti e le età della sua vita.
Ogni rito di passaggio si compie secondo un ritmo cadenzato e scandito dal tempo nel quale è facile distinguere le azioni che ne indicano l’inizio, quelle che si svolgono in una fase intermedia e le altre che ne segnano la fine.
Tali tappe sono molto più appariscenti nella vita sociale delle popolazioni primitive, dove, per esempio, i riti di iniziazione dei giovani per il loro ingresso nella tribù, come uomini adulti, rivestivano un’importanza straordinaria e risultavano estremamente complessi. Tuttavia, anche alcune manifestazioni della vita tradizionale dei nostri paesi più evoluti conservano ancora assai bene le loro caratteristiche: basti ricordare le usanze relative al matrimonio, dalla dichiarazione d’amore del giovane all’accettazione da parte della ragazza, attraverso precise frasi rituali, sino all’ingresso della sposa nella casa del marito, sino alla cosiddetta “prima notte”.
Tali forme rituali rivelano un’origine antichissima e un carattere tipicamente pagano, ma il Cristianesimo in tutti questi secoli ha modificato e adattato alla propria visione i vari aspetti della vita individuale e sociale, dando regole precise ed un significato etico sociale nuovo e più elevato e combattendo inoltre tutte quelle forme e manifestazioni che potessero avere un valore segnatamente superstizioso.
San Giovanni e il solstizio
Le cerimonie cicliche del solstizio d’estate si concentrano nella festa di San Giovanni, il 24 giugno, ma iniziano il 21, giorno di apertura della stagione estiva astronomica e si concludono il 29, festività dei santi Pietro e Paolo. L’origine e l’interpretazione di questi riti sono abbastanza incerte: potrebbero derivare da un antico culto del sole, giacché nell’antico calendario romano il 24 giugno era indicato come “Solstitium “ o “Lampas “ ed infatti nelle regioni europee settentrionali, dove più lenta e tardiva è stata la diffusione del cristianesimo, tale origine legata al sole è rimasta più evidente. Un’altra ipotesi attribuisce ai riti di San Giovanni un carattere di purificazione, prevenzione e propiziazione, legati ovviamente alla terra. In realtà le due ipotesi sono opposte solo in apparenza, giacché il culto solare pagano aveva per certi versi un carattere agrario: le divinità Fortuna e Cerere erano contemporaneamente solari ed agrarie ed inauguravano le opere della mietitura.
Se il solstizio invernale è incentrato tutto sulla celebrazione del Natale cristiano e del Capodanno che assorbono molti dei riti antichi, quello estivo è dedicato invece ad un gruppo eterogeneo di cerimonie, di riti e di pratiche che riguardano il mondo magico.
Lo stesso santo nella sua iconografia è rappresentato tra tronchi di alberi precisi e di nuovo germogliati, simboleggiare tutti i due temi-contrasto, morte-rinascita, ed è quindi collegato di riflesso ai riti agrari. Occorre, innanzitutto, fornire qualche notizia su San Giovanni: figlio di Zaccaria e di Santa Elisabetta, visse nel deserto fino all’anno 29 d.C., durante l’impero di Tiberio, conducendo una vita ascetica. Poi iniziò la sua predicazione, annunciando al mondo l’imminente arrivo del regno di Dio e la venuta di un Messia, provvedendo a battezzare molti ebrei che accorrevano presso di lui da ogni parte. Tra questi ci fu lo stesso Gesù, che fu battezzato sulle rive del Giordano. Aspre polemiche ebbe con gli Ebrei e con i Sadducei che fu in genere molto moralista; per aver rimproverato Erode per il suo rapporto matrimoniale incestuoso e adulterino, fu arrestato e rinchiuso nella fortezza di Macheronte. Dopo alcuni anni fu decapitato per la precisa richiesta di Salomè, figlia di Erodiade.
Rimane fondamentale per i riti della festa di San Giovanni il tema principale della purificazione, rappresentato dal fuoco e dall’acqua.
In alcune regioni europee e in quasi tutti paesi mediterranei, dalla Grecia al Marocco e all’Algeria, la sera precedente la festa vengono accesi grande falò intorno ai quali molti giovani trascorrono la vigilia, danzando e cantando; in Francia sempre gruppi di giovani saltano sulle fiamme con la speranza di guarire dalle malattie; nel Baden, per propiziare la crescita delle messi; nel Tirolo e nella piccola Russia, per la crescita del lino. La bontà del raccolto sarà proporzionale all’altezza del salto.
Anche gli animali sono condotti sulla cenere dei falò, per renderli immuni da malattie o incidenti. Nelle campagne intorno Gorizia i fuochi hanno la funzione di scongiurare il cattivo tempo.
In Norvegia i falò avevano un tempo il nome di “fuochi funebri di Balder”: vi si gettavano sopra alcuni funghi (“Baran”) per allontanare gli spiriti maligni (“trole”), che durante la notte, secondo una leggenda locale, uscivano dai monti aggirandosi con poteri eccezionali. Ancora in Germania i giovani usano lanciare dischi di legno infuocati per annunciare il loro fidanzamento.
L’altro elemento purificatore è l’acqua dotata di virtù soprannaturali, come il potere di scacciare malefici e malanni. In Sardegna i malati sono immersi nell’acqua del mare o di un fiume, mentre giovani si aspergono il viso o cospargono le loro case con l’acqua dei pozzi. Oltre all’acqua e al fuoco, anche le erbe sono considerate dotate di virtù terapeutiche, come la felce che fiorisce sette volte come simbolo del rinnovarsi della vita e di cui fiore viene utilizzato come amuleto; come, ancora, il vischio con il quale si ricava un decotto particolare chiamato “l’olio di san Giovanni”, che i contadini piemontesi e lombardi usano per curare eventuali ferite.
In Francia, nella provincia del Bourbonnais, lo stesso decotto, bollito con farina di segale, viene usato per curare le epilessia.
Una significativa cerimonia si svolge in Sardegna, denominata “comparatico di san Giovanni “e che ha come elemento significativo il rapporto fra l’uomo e le erbe: a fine marzo o ai primi di aprile un uomo chiede ad una donna se vuole diventare sua “ comare “; la donna, nel mese di maggio, dopo aver riempito di terra un vaso fatto con la corteccia di sughero (chiamato “Erme” o “Nenneri”), dissemina grano, innaffiando ogni giorno con cura l’erba che nel giorno della festività di San Giovanni diventerà un ciuffo folto e rigoglioso. Nello stesso giorno l’uomo e la donna si recano in processione verso la chiesa fuori del villaggio, accompagnati dalla gente del paese. Davanti alla porta gettano per terra il vaso, rompendolo, dopo di che i due finti “ sposi “ festeggiano il loro matrimonio con canti e danze. Questa cerimonia riprende un’antica festa fenicia dedicata al dio Adone, introdotta in Sardegna dai Cartaginesi, popolo di origine fenicia: in questa festa veniva esposta la statua del dio morto, nonché un vaso di grano appena di germogliato, poi gettato in acqua.
Ancora in Sardegna le ragazze, sul far del giorno di San Giovanni, traggono l’auspicio del loro eventuale matrimonio, se trovano qualche insetto vicino ad una pianta precedentemente scelta.
Sempre nelle regioni meridionali segni positivi per il puro si ricavano dal fiore del cardo, posto non la sera precedente in un foro di muro, a seconda che i petali del fiore siano, la mattina del 24, rinverditi o seccati.
«È interessante notare – sostiene G.B. Bronzini nella sua opera Lineamenti di Storia e Analisi della Cultura tradizionale – che le forze magiche e sacrali si concentrano tutte nella notte, e più precisamente a mezzanotte, che è l’ora decisiva per qualsiasi pratica rituale. A mezzanotte si compiono i prodigi, quali le trasformazioni dell’acqua in vino, la rivelazione di tesori nascosti, la fioritura e sfioritura della felce, il parlare dei cavalli, l’uscita delle streghe, ecc., che durante la notte la sua, le erbe e le piante acquistano quegli speciali poteri per cui all’alba faranno guarire o daranno l’atteso pronostico».
C’erano ancora altre usanze in diverse zone, come quelle confinanti tra Campania, Puglia e Lucania, che son ricordate in una canzone di Vinicio Capossela, dal titolo “La notte di San Giovanni”:
“Ora le ragazze per San Giovanni
Chiedono al fuoco di svelare gli inganni/Chiedono al cardo chiedono al piombo/Chi avranno un giorno per compagno intorno/E anche le crude Masciare/Questa notte vogliono volare/E ognuno indaga nel cielo/Qualche segno dal mondo del vero”
Il comparatico
L’usanza più importante, dal punto di vista sociale, era però il comparatico, specialmente quello relativo al battesimo cattolico dei bambini; addirittura in Sicilia il compare di battesimo si indica direttamente col termine “sangiuvanni”. Il che dimostra la forte influenza che ha avuto la Chiesa cattolica nel convincere i suoi credenti, attraverso la figura del Battista, che la sacralità del battesimo è molto più forte di quella dei tradizionali e antichi riti di passaggio. Così il termine “sangiuvanni”, da solo o accompagnato come epesegetico del nome “compare”, indica il padrino del bambino che viene battezzato (che a sua volta è chiamato “figlioccio”) ed è diffuso in tutta la penisola.
Le streghe di S. Giovanni
Il 24 giugno è anche il giorno in cui, secondo le tradizioni italiane, le streghe si recano, in volo, verso il “Grande Noce di Benevento”; l’albero sul quale una dea lunare avrebbe sconfitto il diavolo, rimandandolo negli inferi.
Nel rispetto di questa credenza, si sono sviluppati molti rimedi per evitare che le streghe si soffermassero, durante il loro lungo viaggio, in casa di qualche sventurato. L’uso del rosmarino e dell’ulivo benedetto e di un barattolo di sale e una scopa di saggina sull’uscio, erano ritenuti i più efficaci. Le streghe infatti, prima di entrare in casa, erano costrette a contare i chicchi di sale e i ramoscelli della scopa, cosa che richiedeva così tanto tempo da non permetter loro di finire prima della mezzanotte, momento in cui iniziava il giorno di San Giovanni, ed erano costrette a fuggire. Chi, invece, in quella notte non poteva mettersi al riparo, si proteggeva nascondendo sotto la camicia le erbe di San Giovanni: iperico, aglio, artemisia e ruta. Il primo perché i suoi petali rossi erano ritenuti pregni del sangue del santo, il secondo perché è una pianta che protegge dalle creature malefiche (il nome sanscrito dell’aglio significa infatti “uccisore di mostri”), la terza perché è la pianta della dea Artemide e l’ultima, detta anche “erba allegra”, perché è un’efficace talismano contro il maligno
Stefano Milda
Vice Presidente Comitato di Taranto Soc. “Dante Alighieri”
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