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Spagnoletti, i ricordi ne “I nostri contemporanei”

Qualche anno prima della morte, Giacinto Spagnoletti, volle farmi dono, in una sua visita a Taranto, città natale, della sua pubblicazione: “I nostri contemporanei”, pubblicato da Spirali in Milano nel 1997.

Un libro di oltre duecentocinquanta pagine. Presso lo stesso editore Spagnoletti aveva dato alle stampe la “Letteratura in Italia” e “Inventare la letteratura” nella sezione “linguistica, semantica”. Dirò subito che é un libro di ricordi, di memorie, di personali testimonianze, di amici lontani e vicino che contribuiscono alla nascita e alla formazione e direi alla “gestione” di quella forma storica della nostra letteratura che prende nome di “contemporanea”.

Insomma sodali di Spagnoletti nell’arco della sua vita culturale e, direi, nel momento della pubblicazione del libro, terrena. Spagnoletti ne segue le tappe e le epoche storiche, perché se c’é un secolo che é stato, ed é continuato nel successivo, frantumato da più avvenimenti sociali, epocali e culturali, quel secolo é stato il Novecento con una carica di “ismi” letterari che hanno creato tappe evolutive e involutive nella storia della nostra letteratura. Spagnoletti scrive: “Lo scopo del libro non é quello di rievocare dalle pagine di un’opera il profilo umano del suo autore, bensì il contrario: dar rilievo, pur con tutti i limiti della mia memoria, alla conoscenza diretta di uno scrittore, rafforzandola. Con riferimenti tratti anche dalle singole opere”.

Sono queste parole di per sé un breve trattato di poetica più che di estetica. E lo si rileva da come il nostro critico ha “ritratto” i non pochi autori che fanno costellazione all’interessante volume. Ripeto: non sono che brevi “ritratti” usciti non dal cuore, ma dalla mente critica di Spagnoletti; ma “ritratti” proprio nel senso che Luigi Russo aveva dato ai suoi scritti; “Ritratti e disegni sotici”.

Ritratto come rievocazione di un’impresa narrativa o poetica alla quale Spagnoletti é come estraneo, ma al tempo stesso, memorialmente più che umanamente partecipe. Egli scrive nella prefazione dal titolo ambiguo La letteratura ieri come oggi?: “I tempi che ricordo spesso non assomigliano affatto a quelli di oggi. Non solo sono cambiati gli ambienti, reclamando un altro tipo di osservazione, ma c’é qualcosa di più importante: il lettore non troverà grandi indiscrezioni… ma opinioni”. Ecco il punto del discorso esegetico di Spagnoletti. Cosa é mai un pensiero critico? E’ fondamentalmente un’opinione, sia pure sorretta da studio e ricerca, ma momento e non il momento conclusivo nella storia della critica letteraria. Se uno scrittore o un poeta continua a vivere nella storia della civiltà culturale di un popolo, lo si deve alla “critica” ma la critica stessa vive della sua perenne vita e con esse l’opera dell’artista.

Ecco che Spagnoletti, con parola tra l’ironia e l’umoristica, come é sempre stato nel suo “nodus scribendi et cogitandi” avverte il lettore che la cultura contemporanea non può essere mai definita nella sua qualità artistica perché oggi più che mai é soggetta all’economico della case Editrici, che impongono con i nessi mediativi chi deve essere il vincitore o il vinto; perché il sogno degli editori é quello di diventare “industriali” in piena regola e di tutto rispetto.

La pubblicità per uno scrittore o poeta, anche mediocrissimo, può valere migliaia di copie vendute. Ma ciò non é indice di perito culturale o di civiltà letteraria. Se un articolo esce sul Corriere della Sera o su “Tutto libri” l’autore sarà arcicontento. Da tale visione amara della qualità di certa critica contemporanea vengono fuori a volte i “ricordi” di Spagnoletti: di tanti narratori e poeti, che furono e sono soggetti alle “convivenze” e alla “industria letteraria” e nel mezzo un “conglomerato di consumatori” che acquistano “l’imposto” libro. Spagnoletti nel suo “I nostri contemporanei” divide per stagione culturale “autobiografica” gli scrittori e i poeti che ha ricordato: da Roma, poi parla e Firenze, a Milano poi ancora a Roma?

Quindi incontri e quanti nomi; taluni gloriosi, altri già dimenticati. Ne mette in evidenza le diverse funzionalità, le fatiche letterarie, le amicizie delle amicizie, il suo personale coinvolgimento in quella letteratura di ieri che non é quella di oggi. “Saper leggere gli uomini come i libri, ecco la mia nascosta ambizione” scrive. “Trovo indispensabile perciò far collezione di uomini oltreché di libri”. Sarà riuscito Spagnoletti in questo coinvolgimento? E’ un interrogativo che lo stesso critico ha portato con sé alla tomba, certamente credo senza poterlo risolvere.