x

x

Il rischio di una nuova Lehman Brothers?

IL CROLLO DELLA SILICON VALLEY BANK
Soldi

Momento difficile per il settore bancario statunitense, scosso da ben tre fallimenti di banche commerciali di primo piano. La scorsa settimana è toccato a Silvergate, prestatore centrale per l’industria delle criptovalute, tra cui quell’FTX che nel giro di pochi mesi è passato dal valere 32 miliardi di dollari all’accusa di essere una frode su larga scala. Stessa sorte è toccata a Signature, affondata dalle scommesse sulle criptovalute, da cui proveniva il 27% dei suoi depositi.

A far clamore, con pesanti conseguenze sulle piazze degli scambi, è la Silicon Valley Bank (SVB), punto di riferimento nel sostegno a startup e imprese tech della “Valley”: il cui fallimento è stato annunciato venerdì dopo perdite per 1,8 miliardi di dollari in una vendita di obbligazioni. Si tratta del secondo più grande crack di una banca commerciale nella storia americana, il maggiore dal 2008 e segna la fine del “modello California” degli affari con i tassi zero. Negli ultimissimi anni aveva aumentato di varie volte i depositi liquidi accettati dalle start up fino a 342 miliardi di dollari: molte imprese innovative tenevano ferma lì la loro cassa per far fronte alle spese, in attesa di iniziare a guadagnare qualche soldo. E anche i fondi di venture capital o di private equity tenevano fermi lì i loro soldi, in attesa di trovare start up nelle quali valesse la pena investire. Insomma si comportavano tutti come se il costo del denaro nel tempo fosse sempre e soltanto nullo. Come se vivessimo ancora nel mondo pre-inflazione, nel quale le banche centrali tenevano i tassi a zero. Lo faceva anche la banca non concedendo molti prestiti con depositi per 74 miliardi. Poi la scommessa di impegnare100 miliardi in titoli di Stato americani a tre-quattro anni che rendevano l’1,79% l’anno.

Dunque, come i suoi clienti, Silicon Valley Bank si comportava come se il mondo dei tassi zero fosse per sempre: pensava che avrebbe potuto remunerare i depositi a zero e che avrebbe guadagnato un margine netto investendo al rendimento dell’1,79%. La Silicon Valley Bank è collassata a velocità vertiginosa dopo aver annunciato una forte perdita sui suoi titoli obbligazionari e piani di rafforzamento del bilancio, facendo crollare le sue azioni e scatenando un diffuso ritiro dei depositi da parte dei clienti. La corsa a ritirarne i depositi ha condannato i piani di raccolta di capitali freschi dell’istituto tradizionalmente partner delle società di tecnologia. La crisi di SVB ha cancellato in pochi giorni oltre 100 miliardi di dollari di valore di mercato dalle banche statunitensi. Inevitabile che ci sia stato un immediato intervento delle autorità: gli istituti in crisi sono stati subito rilevati dall’agenzia federale che assicura i depositi, la FDIC. La discesa in campo del governo americano, che ha promesso misure rapide e molto generose concesse dal Tesoro americano su tutti i depositi, sono state dettate in parte da motivazioni finanziarie per riportare la calma nel sistema bancario, evitare un effetto contagio e scongiurare i timori di una nuova crisi finanziaria. Tuttavia non bisognare dimenticare che il tessuto imprenditoriale della Silicon Valley è tra i principali finanziatori del Partito Democratico.

Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca sconfitto da Barack Obama nel 2012 e oggi senatore e Larry Summers, ex segretario al Tesoro di Bill Clinton ed ex consigliere economico dello stesso Obama, hanno chiesto che il governo americano garantisse assolutamente tutti i depositi bloccati della banca californiana fallita. Per salvare Main Street bisogna salvare Wall Street, mettere denaro pubblico senza limiti a garanzia degli errori dei gestori privati. Altrimenti le imprese di Silicon Valley con la loro cassa intrappolata nel fallimento della banca non avrebbero più pagato i salari e i fornitori, con licenziamenti in massa e scaricando la crisi su ancora altre imprese. L’amministrazione americana ha deciso che tutti i clienti degli istituti falliti non subiranno alcuna perdita, venendo così meno al limite di 250 mila dollari di garanzia federale dei depositi. Anche i miliardari che incautamente avevano messo tutta la liquidità su un solo conto. E’ esattamente ciò che il Movimento 5 Stelle esigeva a gran voce in Italia durante la crisi bancaria: mettiamo tutto a carico del contribuente. Il carattere drastico della misura dà l’idea del timore nel governo americano che, altre banche subiscano una drammatica corsa agli sportelli. Vedremo nelle prossime ore se questo basterà a calmare le acque. Per il momento la rete di protezione allestita intorno al caso Svb non ha evitato il duro contraccolpo sui mercati. La riapertura del lunedì delle Borse, dopo il fallimento, bruciano 291 miliardi di euro, e vanno a picco le banche. Piazza Affari maglia nera perde il 4% e manda in fumo 24 miliardi di euro. Wall Street chiude contrastata. Sul listino delle Blue chip penalizzato dalla forte esposizione al comparto bancario, pagano più di altri Bper (-9,5%), Banco Bpm (-8%), Unicredit (-9%). Di contro tengono i titoli legati all’energia. Ancora Italgas (+1%) in scia ai conti, poi Snam (+0,57%), Terna (+0,61%). Tra gli altri piatta Leonardo (+0,09%). Lo spread tra e Btp e Bund chiude in rialzo. Il differenziale si allarga oltre i 192 punti. A poco sono valse le rassicurazioni del ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti, che ha ricordato che “il sistema bancario italiano ed europeo è regolarmente monitorato dalle autorità di vigilanza e supervisione assicurandone così la stabilità”.