L’ufficio legale dell’Ilva in amministrazione straordinaria è al lavoro per tentare di superare il provvedimento di spegnimento dell’altoforno numero 2. Un provvedimento firmato dal sostituto procuratore della Repubblica, Antonella De Luca, che fa seguito al sequestro dell’impianto per l’incidente che l’8 giugno del 2015 provocò la morte dell’operaio Alessandro Morricella.
Già nei prossimi giorni, quindi, potrebbe essere presentata alla Procura una istanza per ottenere il tempo necessario ad adempiere alle prescrizioni a suo tempo indicate ed evitare, quindi, lo spegnimento degli impianti. Sull’azione legale intrapresa dall’Amministrazione Straordinaria – che è proprietaria dello stabilimento – è comunque in atto un confronto con Arcelor Mittal, che oggi gestisce gli impianti.
Erano sette le prescrizioni impartite nel 2015 per liberare l’altoforno dai vincoli del sequestro. Di queste sette prescrizioni – lo si legge nel provvedimento in cui si ordina lo spegnimento dell’impianto – due sono state attuate, tre sono state parzialmente attuate e due, invece, non attuate. È evidente che la partita adesso si sioca anche su aspetti tecnici. Nelle more degli adempimenti alle prescrizioni, Ilva in amministrazione straordinaria ed Arcelor Mittal presumibilmente studieranno come rassicurare la Procura sull’agibilità dell’impianto in condizioni di sicurezza per chi ci lavora. Peraltro spegnere un altoforno richiederebbe almeno un paio di mesi di tempo, soprattutto se dovesse trattarsi di spegnimento definitivo. Qualcosa in meno se ci si limitasse ad una messa in stand by, realizzabile caricando il forno di coke in modo da mantenere inalterata la temperatura delle pareti refrattarie così da essere pronto per una eventuale ripartenza della produzione.
Ma, appunto, quale sarebbe l’impatto sulla produzione e sull’occupazione se l’Afo 2 dovesse davvero essere spento? A rischiare il posto sarebbero i lavoratori del processo produttivo che ruota intorno all’esercizio dell’impianto: il personale degli impianti marittimi e quello dei parchi primari, delle cokerie, dell’agglomerato, dello stesso altoforno, dell’acciaieria, della colata continua e del treno nastri 2, che implicherebbe una riduzione dei turni di lavoro. In totale, allo spegnimento dell’Afo 2 sarebbero interessati circa tremila lavoratori. Una cifra impressionante, molto più di quella dei 1.395 lavoratori che dal primo luglio sono coinvolti nella cassa integrazione ordinaria disposta da Arcelor Mittal per far fronte alla crisi internazionale del mercato dell’acciaio.
Lo spegnimento dell’Afo 2 non sarebbe dunque un evento isolato, soprattutto se letto nell’attuale contesto dello stabilimento. Oggi infatti la produzione è di circa cinque milioni di tonnellate e a questo livello produttivo le perdite del secondo trimestre 2019 sono state, al netto degli interventi di ambientalizzazione, di 150 milioni di euro, come emerso al tavolo del Mise del 9 luglio. Più o meno una perdita di un milione e mezzo di euro al giorno, quindi. Con lo spegnimento dell’Afo 2, che da solo vale un milione e mezzo di tonnellate d’acciaio, la produzione scenderebbe a 3,5 milioni di tonnellate all’anno. Una cifra che, oggettivamente, non assicurerebbe le condizioni minime per la gestione di uno stabilimento di quella portata che, ricordiamolo, è pur sempre il più grande d’Europa. L’effetto domino sarebbe devastante e rischierebbe di tradursi in una sola parola: chiusura.
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile