«Non so cosa accadrà con Mittal, anche se mi sembra che a questo punto le possibilità che resti mi sembrano sottilissime. Di certo l’Ilva non può continuare ad esistere come è stato finora. Ilva non è solo Pil e posti di lavoro, che comunque sono fondamentali, ma dobbiamo ricordarci che quello stabilimento ha prodotto tante sofferenze e tante morti. Oggi bisogna cambiare strada». Parole di Giovanni Battafarano, già sindaco e parlamentare, oggi esponente del Partito Democratico. Lo abbiamo intervistato.
Sono anni che cerchiamo di capire come rendere l’Ilva compatibile. A suo avviso come si dovrebbe procedere?
Ci sono tecnologie moderne già applicate in altri stabilimenti nel mondo, non si capisce perché non si possa fare la stessa cosa a Taranto.
Sì, ma con quale tecnologia?
Come abbiamo scritto nel documento dell’assemblea regionale del Pd, la decarbonizzazione è una strada da seguire, considerando anche che in Puglia nei prossimi anni arriveranno enormi quantitativi di gas.
Lo scontro sullo scudo penale quanto ha compromesso la riuscita dell’operazione Arcelor Mittal?
L’esimente penale è l’ultimo dei problemi. Mittal ha sbagliato piano industriale, ha fatto male i calcoli e da una multinazionale ci saremmo aspettati ben altra capacità di assorbire queste difficoltà, invece assistiamo a questa fuga così maldestra.
La crisi viene da lontano. Ricordiamo che Taranto fu dichiarata area ad elevato rischio ambientale nel 1990, cinque anni prima che arrivasse Riva. Perché si è arrivati a questo punto?
A Taranto c’è stata una gravisisma sottovalutazione dei problemi. Questo per responsabilità dei governi che si sono succeduti negli anni e della stessa classe politica e dirigente locale della quale ho fatto parte e per questo mi assumo la mia quota di responsabilità. L’Ilva doveva investire nell’innovazione e non lo ha fatto, non lo hanno fatto nemmeno i Riva che hanno preferito portarsi i soldi all’estero. Non ci si è resi conto che per salvare la fabbrica bisognava cambiarla profondamente. Adesso mi auguro che vengano perseguite strade nuove.
Ammesso che si riesca a fare ci vorrà del tempo…
La decarbonizzazione ha i suoi tempi. L’allora commissario Ronchi aveva predisposto un piano di cambiamento con l’introduzione del preridotto.
Ma a Ronchi non fu dato il tempo di fare nulla.
Sì, credo che prevalsero gli ambienti più conservatori che non volevano questo cambiamento.
Ora siamo ancora a tentare di salvare lavoro e salute.
Hanno fatto bene il sindaco e il Pd a chiedere la revisione dell’Aia per capire fino a che punto la produzione possa essere sostenibile.
Che Ilva immagina, ammesso che si riesca a salvarla?
Bisogna essere consapevoli che probabilmente avremo una fabbrica di dimensioni ridotte rispetto ad oggi. Le perdite di posti di lavoro dovranno essere compensate con la diversificazione produttiva che il presidente Conte ha garantito con il “Cantiere Taranto”. Certo, questo cantiere deve essere riempito di contenuti con l’apporto delle forze locali attraverso finanziamenti certi e procedure snelle, individuando quali sono stati i punti deboli del Cis.
In questi anni da alcuni ambienti c’è stata una criminalizzazione degli stessi operai che, in verità, sono vittime di questa situazione, non crede?
Gli operai fanno bene a difendere il posto di lavoro con il sostegno dei sindacati. Tanti lavoratori sono consapevoli dei rischi che corrono per la loro salute, per questo abbiamo bisogno di una sintesi che superi la guerra tra chi soffre e chi lavora, perché anche chi lavora rischia e soffre. La città ha bisogno di unità di intenti, oggi è divisa, bisogna ritrovare coesione. Taranto deve recuperare unità e identità.
Enzo Ferrari
Direttore responsabile