“Pietre di pane” è il titolo del romanzo antropologico, ambientato tra la Calabria e il Canada, di Vito Teti, edito da Quodlibet. Racconti, memorie, note di viaggio e riflessioni utili a costruire il concetto di «restanza».
La modernità nasce col mito del viaggiare. La vita è un’Odissea. Un mondo di “uomini senza donne” e “donne senza uomini”. Se c’è chi viaggia, c’è anche chi aspetta. Viaggiare e restare, partire e tornare sono eventi connessi. È lo strano volto dell’emigrazione legata alla terra d’origine. Radici per il mondo. Paesi che rivivono in altri paesi.
Il viaggio non è solo un movimento fisico. L’altrove è anche mentale. Si parte per cercare il pane. Pane materiale e pane spirituale. Allora caro Padre Nostro daccelo sempre questo pane quotidiano. Daccene in abbondanza. Riempi le nostre dispense così stiamo bene per un po’ di tempo. Invece no. Ogni giorno dobbiamo penare. In questa pena e in questa penuria di pane i paesi si svuotano. Il sud è ovunque. La Calabria che racconta Vito Teti è ovunque. Cambia forma ed è uguale a se stessa. Diventiamo e ci sentiamo tutti spaesati. Anche chi resta è spaesato. Cosa resta a chi resta nei piccoli paesi svuotati dall’emigrazione? Un Paese diverso.
Quante persone viaggiano, partono e non vedono nulla e quante invece restano e imparano a conoscere il mondo intero. In un’epoca in cui tutto è vicino, tutto è virtualmente visitabile, tutte le grandi città, più o meno, si somigliano, forse la vera novità va cercata nel posto in cui viviamo.
A che serve conoscere il mondo se non conosciamo le pietre di cui è fatta casa nostra?
Il libro ci restituisce un senso morale del concetto di nostalgia. Tra la retorica dell’emigrato di successo e la retorica di chi è rimasto, è nato, forse, l’uomo anostalgico. Un cittadino senza città, un cosmopolita senza radici che ha distrutto il passato per riprodurlo in goffe caricature. La nostalgia è desiderio di appartenenza, una capacità rigenerativa. Quella che forse criticava Pasolini era l’Italietta anostalgica, omologata e consumistica.
«Restare significa vivere l’esperienza dolorosa e autentica dell’essere sempre “fuori luogo”». Se il mondo è sempre in movimento allora anche chi sta fermo è in viaggio.
«L’avventura del restare – la fatica, l’asprezza, la bellezza, l’etica della “restanza” – non è meno decisiva e fondante dell’avventura del viaggiare. Le due avventure sono complementari, vanno colte e narrate insieme.
Restare, allora, non è stata, per tanti, una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità; restare è stata un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica e un dolore. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare. Restare è un’arte, un’invenzione; un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali. Restare è una diversa pratica dei luoghi e una diversa esperienza del tempo, una riconsiderazione dei ritmi e delle stagioni della vita».
Il libro “Pietre di pane” ci fa viaggiare nei paesi e nei cuori di chi ha fatto del restare una sua ragione di vita e una sua regione della vita. Ci suggerisce che la vera sfida è far dialogare le nostalgie di chi arriva, di chi parte e di chi resta.
Vito Teti è ordinario di Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo presso il Dipartimento di Filologia. È responsabile in Italia dell’I.C.A.F. “Associazione Europea di Antropologia dell’Alimentazione”. Il motivo della melanconia e della nostalgia, l’antropologia dei luoghi e dell’abbandono, dell’alimentazione, dell’emigrazione, della letteratura sono al centro della sua scrittura. Molti suoi lavori sono stati pubblicati in lingua inglese, francese e spagnola. “Pietre di pane” è un’espressione di Corrado Alvaro. Pietre a forma di pane. Il pane a volte s’indurisce come la pietra. Il pane è elevato a simbolo del bene primario, della necessità, ma anche della sacralità del mangiare.
«A volte i sassi hanno forma di pane. Bisogna vederli, a una svolta di una strada biancheggiante, cumuli di sassi che sembrano pani. Sono i sassi dei torrenti, arrotondati e dorati. La prima idea è quella del pane. Poi della pietra. E la fantasia oscilla tra questi due estremi. Sono i mucchi dei sassi trasportati dal greto dei torrenti e ammucchiati per fabbricare la casa».
Non ci resta che viaggiare da fermi con i racconti di Vito Teti. Incontreremo e ci incanteremo leggendo “Il turno di Angelino”, “Il cammino di Vallelonga”, “La casa dei trentatré pani”, “Fichi a Toronto”, “L’ombra e la macchina da cucire”, “Le reti di Murat”, “Nuvole e ruche”, “Le pietre di mio cugino Giò”, “I funerali dell’Imperatore”, “Madre di paese”.
Incroceremo le nostre ombre e la nostra anima, la vita e la speranza, la noia contadina e l’angoscia metropolitana. Dal setaccio del nostro cuore sarà scartato tutto il superfluo. Impareremo che la vita quando è dura come le pietre ci fa scoprire cosa è essenziale come il pane.