Il decoro, la dignità, la cultura di una città è nel sapere ricordare, nel tempo dovuto alla memoria, i suoi illustri figli, e Cesare Giulio Viola certamente è uno dei suoi migliori figli e, senza remora esegetica, per l’opera varia, dinamica, e creatrice, uno scrittore che ha dato lustro al primo Novecento anche per quel “Pricò” che De Sica portò in pellicola con il titolo “I bambini ci guardano”.
Il 3 ottobre del 1958, cioè sessant’anni or sono, moriva per una fatalità, Cesare Giulio Viola, nella sua residenza estiva in Positano. Ma nel suo cuore e nella sua memoria Taranto rimase, tempo e luogo indistruttibili. Vi era nato nel 1886.
Roma fu la sua seconda sede di vita e d’arte.
Di lontano dalla sua città spesso lo aveva scritto e detto al suo solitario direttore della biblioteca “Acclavio”, Vito Forleo.
Taranto era stata la patria scolastica all’ “Archita” nel suo romanzo mondadoriano “Quinta classe” e poi questa sua e nostra città in quel suo romanzo del lume a petrolio “Pater” che è un inno al suo genitore, Luigi, archeologo e fondatore del Museo archeologico di Taranto ed è anche uno spaccato felicissimo della Taranto fine ottocento e primo novecento, la città ancora illuminata dai lumi a petrolio e nella quale si circolava con gli “Omnibus” carrozze a cavalli.
Un libro non solo di familiari memorie, ma di memoria cittadina, immagine, sogno di una Taranto che era quella del “cuore di una volta”.
Non scrittore di uno spaccato locale, industriale, mortifero, ma scrittore solare, cioè dell’ampia visione umana, umanistica, nella quale la storia personale si intreccia con la storia di un’epoca, di un popolo, di una vasta tradizione.
Scrittore e poeta.
Lo ricordiamo oggi perché la città, che vuole risalire la scala della Cultura, lo ricordi domani perché non scompaia dal nostro povero mondo.
Un mondo, spesso, senza patria e senza fede.