Leggere un libro? Cosa c’è di più fruttuoso, di più appagante? Qui vogliamo farvi alcune segnalazioni, diciamo così, a portata di mano, di libri che vale la pena conservare e consultare. Leggere un saggio di quelli che aprono orizzonti o soddisfano curiosità intellettuali.
Il primo saggio che vorremmo proporvi è di Luigi Paolo Finizio, “Tasso moderno – La parola disgiunta e l’arte moderna” (Arbor Sapientiae Editore in Roma, 12.00 euro) è di pochissimi mesi fa. L’autore ha dedicato la sua vita all’arte ed allo studio dei linguaggi nell’arte. Qui spazia nelle profondità della poetica di Torquato Tasso. Entra, con grande sensibilità e maestria, nel linguaggio del grande poeta rinvenendo i tratti della sua modernità, anzi attualità, che ci consentono di fruire del suo genio. Non solo in questi tempi, Tasso avrà carte da giocare anche in futuro. Il saggio è lontano da una lettura di convenzione e propone un mondo antico ma modernissimo, una poesia con motivazioni vicine più ai nostri tempi che alla consueta visione cinquecentesca. Se il tempo dell’Ariosto è quello “stabile della cultura rinascimentale e quello del Tasso è nel declino di quella cultura, sta nel suo tramonto di cui esprime la crisi presentendo la modernità del Barocco e dei tempi futuri, (…) non è azzardato pensare alla modernità /della sua arte/ come a una pratica poetica del sensitivo, del proprio io lirico, fusa nel linguaggio al vivente e non soltanto per quanto lo riguarda personalmente.” L’analisi di Finizio ci riconcilia con valori e concetti, liberi da sovrastrutture che spesso spengono nei “classici” la loro potenza artistica, e vitale.
Felice per la vivacità del narrato è “Scritti tra arte e vita”, di Vittorio Brandi Rubiu (Castelvecchi editore in Roma, 30 euro), di pochi mesi fa. Una pubblicazione che andrebbe detta “scritti di una vita in arte”. Sono quelli dell’autore di un’attenta osservazione dell’arte d’avanguardia italiana e internazionale. La sua diffusione, l’approfondimento, la storia e la critica d’arte. Vittorio Brandi Rubiu (tra i migliori discepoli di Cesare Brandi) seguendo l’impronta del Maestro mantiene una corrispondenza continua tra esperienza dell’arte (studio) ed evolversi nel tempo della significanza estetica. Il testo presenta otto moduli: nei primi cinque, Brandi, Morandi, Burri, Pascali, Fabio Sargentini e l’Attico. Dopoché il libro si immerge negli approfondimenti di Morandi e Burri, affronta le coordinate dell’arte di due grandi talenti che appaiono opposti ma sono uniti della loro grandezza. Per giungere poi a Pino Pascali, di Polignano a mare. I commossi lavori di Rubiu sull’arte e sulla figura dell’artista sono un’acuta emozione. Il saggio propone quindi il capitolo su Sargentini e l’Attico: una grande amicizia per l’arte. Scritti “viventi”, legati alla galleria che Sargentini conduce da anni con efficacia ed un’invidiabile sapienza: ed allora ecco Mattiacci e De Dominicis, e Vito Acconci e Sol Lewitt, e Steve Paxton e Whitman, e tanti altri. Infine, interviste all’autore, per il quale “Donare è scrivere la propria vita”.
Libro freschissimo di stampa “Terrazze al sole” (Liguori editore, Napoli, 21,99 euro) di Massimo Bignardi, si legge come un romanzo. E con questo titolo non può che esserlo, ma romanzo non è, invece è un racconto forbito, e le indicazioni migliori vengono completando il titolo: “Il paesaggio e la vita italiana nella pittura dei viaggiatori del XX secolo”. Notizie e riflessioni sugli artisti italiani che nel ventesimo secolo hanno soggiornato, operato, viaggiato per il nostro Paese (anzi “il Bel Paese”) nei nostri “tempi della contemporaneità”, come dice l’autore. Ma naturalmente anche e soprattutto attraverso le opere, spiegate senza dimenticare il vissuto degli artisti. Un libro scritto con particolare attenzione al nostro Sud (e sovente al sud del nostro Sud). Una folla di artisti straordinari che percorrono la penisola e la guardano con occhi particolarmente capaci: perché l’arte ha le dimensio ni mentali e temporali (e sociali) che si fondono con le personalità degli autori. Una folla, dicevamo, e qui indichiamo solo alcuni incontri, come Amerigo Tot, o Max Gubler e la luce di Lipari, e ancora Max Pechstein e la sua “Fonte a Positano” (un acquerello d’un nuovo espressionismo. Kandiskij che scopre una Venezia che gli appare nera, tetra, e invece poi (in un secondo viaggio) incontra Rapallo; e la Liguria gli fa un effetto molto diverso: “ ‘Rapallo. Bagni Luisa’ (…) costruito da un tratto che riesce a misurare con lo spessore della linea e la distanza e quindi il disporsi dei piani nella scatola prospettica, e la sua felicità interiore lo porta ad una nuova definizione della natura.” E Richard Doelker e tanti altri.
Un cenno lo dobbiamo ad un libro che è idea fortemente voluta da un autore (che conosciamo molto da vicino e, diciamolo pure, personalmente) che ha curato questo libro ed ha svolto il saggio, diciamo così, di chiarificazione. Il libro è di una delle maggiori figure del secolo scorso, Cesare Brandi; è il suo “Martina Franca”, ed ha un saggio di Aldo Perrone ed una splendida prefazione di Vittorio Sgarbi (La Nave di Teseo, editore, Milano, euro 18). “Martina Franca”, pubblicato nel 1968 dal piccolo e raffinato editore milanese Apollinaire, torna in libreria, e “Quando la poesia racconta una città” è il titolo del saggio di Perrone, ed il titolo è esplicito, e ci restituisce anche il dietro le quinte di tutta l’operazione. Corredato dalle lettere fra Brandi ed il giornalista (e operatore culturale) tarantino Antonio Rizzo, il libro offre la storia e l’arte della città del rococò attraverso una sorta di peregrinazione poetica che dà vita ad animali, piante, chiese, alle piccole costruzioni contadine dei trulli, alle cime di rapa ed ai muli martinesi, ricreando un mondo antico che rende familiare anche a chi non ci è mai stato (come dice Buzzati, attraverso Sgarbi). Giustamente l’entusiasta Vittorio Sgarbi sottolinea che “la storia di questo singolare libro (…) non ha niente di una guida locale”, perché “la facilità e la forza evocativa della parola di Brandi creano l’illusione di essere lì, di camminare e vedere.” Perché il “Martina Franca è un libro di vera poesia”.
Di poco meno recente degli altri qui presentati, ma da consigliarsi assolutamente, “Aubrey Beardsley” (Abscondita, Milano, 13 euro), di Elena Pontiggia, che porta in un agile libretto la vicenda del maggior disegnatore europeo di fine Ottocento: lo sfortunato artista, che per la malattia del secolo (la tisi) consumò la sua breve vita ma dominò in assoluto gli anni Novanta, che vennero chiamati l’età di Beardsley. Quando scomparve, a venticinque anni, aveva con le sue opere di densa sensualità scandalizzato la società e consegnato il bello a vertici altisimi e contemporaneamente portato il bello del brutto e dell’osceno a vette difficilmente superabili. Nelle sue opere la linea è tutto, e non si può non riconoscerle al primo vederle. Scandaloso come Oscar Wilde e come Max Beerbohm, elegante ed eccentrico quanto loro, lui, in gioventù poverissimo, fa della sua vita un’opera d’arte. Il suo dandismo è una realizzazione voluta e le sue figure sono esplosive come, al contrario, talvolta gonfie e persino volutamente ripugnanti. Soggetti talvolta oltre il limite, nella pornografia. Ma l’epoca vittoriana lo vitupera anche per le opere caste: poiché lo sconvolgente non è il soggetto, è la sua arte singolare, personale, intollerabile per lo splendore del segno; la sua pittura è scandalo in sé.
Leggeteli questi saggi: a voi la scelta (ma è meglio tenerli tutti con sé, come fossero di famiglia).