Per il secondo appuntamento con “Taranto legge” – la rassegna culturale giunta, quest’anno, alla sua quinta edizione – lunedì 20 gennaio, alle 16, nell’Aula Magna dell’Istituto “Pacinotti” (in via Lago di Trasimeno) è in programma un incontro dal titolo “La poesia nel ghetto di Varsavia”.
Ospite dell’iniziativa è Filomena Montella (docente di Lettere attualmente in servizio presso l’ITET “de Viti de Marco” di Triggiano) con cui dialogherà Lucia Schiavone.
L’incontro rientra nel calendario di appuntamenti organizzati dalla comunità di lettori che vede insieme sei scuole superiori tarantine: Archita, Aristosseno, Calò, Ferraris, Principessa Maria Pia e Pitagora. La rete è sostenuta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Taranto e da numerose realtà culturali, prime fra tutte le Librerie Mondadori e Dickens, i Presidi del Libro di Taranto e Leporano.
“Taranto Legge” incontra, dunque, la Shoah grazie alla professoressa Montella: una vita di studi e di ricerca nel campo della cultura classica, della didattica, della storia, già esperta di “astronomia letteraria” e di “apprendimento della letteratura come esperienza di vita”, da qualche anno sta condividendo con giovani e colleghi in giro per l’Italia un corso di formazione sulla storia e la didattica della Shoah presso l’Istituto di studi superiori per l’Olocausto dello Yad Vashem di Gerusalemme, organizzato dal MIUR.
“Si può produrre arte durante l’orrore? Può la poesia salvare? Può la parola essere più forte delle armi o di una camera a gas?” – si chiede la Studiosa e propone la lettura ed il commento della Poesia del ghetto di Varsavia. «Durante la Seconda Guerra Mondiale, anche le arti furono calpestate al pari degli esseri umani. Per alcuni degli oppressi della Shoah, tuttavia, esse rappresentarono un’ancora di salvezza, un momento di vita, un riscatto dal buio. In particolare la poesia, le poesie di Wladyslw Szlengel e di Yitzhak Katzenelson, poeti del ghetto di Varsavia, ritrovate nell’archivio predisposto dallo storico Ringelblum. Negli ultimi mesi del ghetto le parole potevano fare ben poco. Un destino comune legava i poeti e l’uditorio e conferiva ai versi una legittimità e un’autorevolezza che nessun virtuosismo artistico, nessuna ricerca estetica avrebbe potuto eguagliare» – afferma Filomena Martella.