La guerra dei vini: a rischio la tipicità pugliese del Vino doc Primitivo
E ci risiamo. Quasi ciclicamente, oramai, ritornano gli echi di una contesa mai sopita: quella sul vino Primitivo. Dove e chi può produrlo ma soprattutto perché. Dopo la “guerra” d’oltre oceano, con la California che si addossava lo ius del primo ceppo coltivato, questa volta l’attacco è partito in casa nostra esattamente dalla Regione Sicilia che, proprio in questi giorni, ha manifestato la volontà di coltivare uno dei vitigni più preziosi della Puglia e quindi produrre nell’isola il Primitivo. La notizia non poteva passare certamente inosservata e quasi immediatamente si è scomodata persino la ministra Bellanova, la quale si è affrettata a dichiarare che mai avrebbe permesso a una bottiglia di vino siciliano chiamarsi “Primitivo”. Insieme a lei, si sono subito levate accorate le voci del governatore pugliese Emiliano e quella del presidente di Confagricoltura Puglia Luca Lazzaro, tanto per restare da queste parti.
Quest’ultimo, in un apposito comunicato ha stigmatizzato senza mezzi termini negativamente l’iniziativa sicula, precisando che: “Permettere l’impianto dei vitigni e la produzione del Primitivo in Sicilia è un danno enorme per la Puglia e un precedente pericoloso per tutto il Paese che va subito bloccato”. In questa occasione ricordare allora brevemente la Storia, almeno quella certa e conosciuta di questo particolare vitigno a “bacca nera”, può venirci incontro, potendo considerare il vino Primitivo come l’erede diretto dell’antico “merum”, memorabile antico vino per eccellenza della Puglia. E qui entra in gioco proprio Taranto perché quando si parla di vini e di vino primitivo in modo particolare, non si può fare a meno di citare la microstoria dell’entroterra orientale della provincia jonica, nella quale si pratica ancora tutt’oggi la coltivazione e produzione del famoso Primitivo di Manduria. Le tracce che In questi territori nei dintorni di Taranto il vino Primitivo (csd Merum) per primo si affermò e divenne importante, ci sono tramandate persino dal famoso poeta viaggiatore Orazio, che paragonò i “mera tarantina” ai più famoso vini romani del suo tempo. Secondo una recente stima odierna,invece, quello del vino Primitivo e solo per il Doc Manduria, è un giro d’affari da 140 milioni di euro che, nell’anno 2019, ha visto imbottigliare quasi 17 milioni di litri per oltre 23 milioni di bottiglie. Un aumento di circa il 12% rispetto al 2018 che sta a dimostrare, nel caso se ne avesse ancora bisogno, l’importante richiesta del mercato enologico di questo specifico vino.
Tutti motivi questi che hanno giustamente portato il presidente di Confagricoltura Puglia Luca Lazzaro a dichiarare che: ”L’enogastronomia italiana è amata in tutto il mondo perché ogni regione ha la sua tipicità, la sua tradizione. Se tutti producessero tutto sarebbe la fine di una peculiarità quasi esclusiva del nostro Paese. (…) È bene – conclude Lazzaro – che la questione venga portata urgentemente in Parlamento e che il ministro all’Agricoltura dia risposte urgenti a tutto il mondo della filiera vitivinicola”. Nel frattempo registriamo anche la presa di posizione a favore della difesa territoriale del vino Primitivo da parte di svariate organizzazioni regionali di categoria le quali, anch’esse, nell’occasione hanno denunciato il problema e si sono unite alla protesta del Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria doc e docg. La levata di scudi è partita dal Consorzio del Salice Salentino doc a quello del Primitivo di Gioia del Colle doc, dal Consorzio Matera Doc a quelli di Brindisi e Squinzano doc e Castel del Monte, per arrivare all’Associazione Nazionale Le Donne del Vino delegazione Puglia, al Consorzio Movimento Turismo del Vino Puglia e all’ Assoenologi Puglia Basilicata e Calabria. Si spera perciò che tutto questo marasma prodotto recentemente dalla questione vino Primitivo, ricordiamolo una delle eccellenze pugliesi e tarantine in particolare, prosegua con la tutela e la valorizzazione di questo prodotto e dei relativi territori, perché è impensabile difendere le tipicità regionali e non investire risorse per farle conoscere e apprezzare in tutto il mondo.