È a Taranto ormai da cinque anni (si è insediata l’1 dicembre 2015). Con l’arrivo di Eva Degl’Innocenti è cambiato l’approccio degli stessi tarantini al Museo archeologico. Il blitz di Chiara Ferragni e la sfilata di Dior con i gioielli ispirati agli Ori di Taranto hanno dimostrato, una volta di più, quanto enormi siano ancora le potenzialità culturali e turistiche di questa città.
Direttrice, con l’accoppiata Ferragni-Dior al Museo sono aumentate soprattutto le presenze dei più giovani.
Sì, abbiamo registrato un aumento del 148% di presenze dei giovani. Parliamo di alcune centinaia.
Questo significa che è importante adeguare il linguaggio a quello delle nuove generazioni.
Sicuramente. Ma questo fa parte della mission del Marta, ci rivolgiamo anche a bambini e adolescenti. Tutta la nostra politica culturale è rivolta all’inclusione, all’accessibilità, al recupero del legame identitario. Abbiamo creato molti progetti scientifico-culturali e pedagogico-didattici per un pubblico di giovani.
Un esempio?
Le mappe di comunità: siamo il primo e al momento unico museo italiano ad aver fatto questo tipo di lavoro e abbiamo scelto come comunità proprio i giovani tarantini all’interno di un percorso di alternanza scuola-lavoro. Abbiamo creato mappe interattive: si è partiti dalla Taranto di oggi per immaginare una Taranto avveniristica e i ragazzi l’hanno fatto con i loro codici di rappresentazione.
Qual è ora la loro visione di città?
Inizialmente era molto negativa, poi hanno compreso il valore di questo grande patrimonio culturale e si sono sentiti orgogliosi di appartenere a questo territorio. Hanno maturato propositi di progettualità per creare nuove attività. Il loro obiettivo non è stato più quello di scappare via da Taranto. Un altro progetto che abbiamo portato avanti è stato il Neet, rivolto a giovani privi di lavoro e di formazione. Li abbiamo accolti nei laboratori e hanno abbracciato dei percorsi fatti di sviluppo sostenibile, riqualificazione non solo urbana ma sociale, educazione al bene comune e all’innovazione e, soprattutto, all’industria culturale e creativa. E poi ci sono stati i progetti con le case famiglia.
Ce ne parli.
Parliamo di iniziative rivolte a giovani provenienti da contesti disagiati. Sono i progetti che danno più soddisfazione.
Perché?
Dopo questi percorsi i ragazzi si appassionano al museo e diventano degli ambasciatori importanti. Ricorderò sempre che al termine di questi percorsi multisensoriali ci chiesero: possiamo tornarci con i nostri genitori o i nostri amici? Capimmo di aver raggiunto un grande risultato, questo era il nostro obiettivo. I ragazzi diventavano gli ambasciatori di questo patrimonio e sarebbero stati loro stessi ad accogliere parenti e amici al museo.
A Taranto i programmi di rigenerazione urbana, soprattutto in Città Vecchia, sono finora falliti perché si è pensato alla riqualificazione degli edifici e mai al recupero sociale, all’elemento umano. Questi progetti dimostrano invece quanto sia fondamentale la rigenerazione sociale.
Sono d’accordo. Non ci può essere rigenerazione urbana se prima non si passa da una rigenerazione socio-culturale.
Torniamo ai social. Il Marta ha lanciato molte iniziative.
Infatti. Nel lockdown abbiamo lanciato il contest per la mascotte del Marta: siamo stati inondati dai disegni dei ragazzi. In questi anni abbiamo creato una serie di contenuti digitali basati sull’aspetto più ludico, anche sul legame tra antico e contemporaneo, proprio per aprirci ai più giovani. Il pubblico più difficile rimane quello dell’adolescenza: bisogna conoscere meglio il loro mondo e interagire col loro linguaggio. Non ci si può rivolgere agli adolescenti con codici di comunicazione ormai obsoleti. Questo non significa banalizzare la comunicazione, ma fare un uso più educativo dei social.
Il digitale per “catturare” i più giovani?
Sicuramente. A maggio abbiamo presentato online la nostra piattaforma: non un semplice sito internet, ma contenuti per i diversi target di pubblico. Il FabLab, ad esempio, è un laboratorio digitale creativo con scanner e stampante 3d. Abbiamo fatto attività a distanza, hanno partecipato da tutta Italia, sia scuole che singoli ragazzi. Parliamo di migliaia di ragazzi, che hanno avuto la possibilità di riprodurre l’oggetto che avevano imparato a creare con il software libero. Insieme al Museo di Napoli, inoltre, siamo stati i primi in Europa a creare un videogame, scaricabile gratuitamente. E non dimentichiamo il fumetto sull’atleta di Taranto. È un modo diverso di vedere il patrimonio culturale e di coniugare innovazione e tradizione, perché comunque si parte dal patrimonio archeologico.
Quella di Dior resta una iniziativa fine a se stessa?
No, non è una iniziativa isolata. Si possono sviluppare progetti congiunti di ricerca con l’industria della moda e del design, si può fare un lavoro di reinterpretazione di questo enorme patrimonio che abbiamo. L’auspicio è che ci sia contintuità con progetti che possano diventare sempre più internazionali e che possano portare il Marta nel mondo, come fu con la mostra degli Ori di Taranto negli anni ‘80. Naturalmente l’obiettivo è creare incoming, far venire i visitatori qui a Taranto.
E il digitale può darci una mano?
Certo. Il digitale permette di garantire la tutela del patrimonio. Alcuni reperti, infatti, sono molto fragili e preferiamo non movimentarli. Creare contenuti digitali, scientifici, che possano essere divulgati è una finalità del nostro progetto di digitalizzazione. Abbiamo digitalizzato 40mila opere open data con 5000 immagini stereoscopiche e 200 modelli 3d. Questo favorirà anche rapporti di ricerca internazionali perché uno studioso, che sia giapponese o americano, potrà accedere a distanza alle nostre opere.
Quanto il lockdown ha favorito la diffusione della cultura?
Il lockdown ci ha insegnato tante cose e bisogna far tesoro di questa esperienza. Pensiamo alla sostenibilità economica: le mostre virtuali abbassano tutti i costi, soprattutto quelle delle assicurazioni e dei trasporti. Investire sul digitale – anche se in Italia siamo in ritardo – avvicina il pubblico dei millennial che sono abituati a questo tipo di contenuti. Non si può non adeguarsi ai cambiamenti della società. Il Museo deve essere al servizio della società e del suo sviluppo. Il che non vuol dire abbracciare derive negative di consumismo e superficialità o consegnarsi agli altri aspetti più deteriori dei social e del web. Di questi strumenti bisogna fare un uso sapiente. Oggi non possiamo avere una visione ottocentesca del museo. Per quanto possa apparire paradossale, l’archeologia è una delle discipline più contemporanee che possano esistere, non bisogna averne una visione passatista. L’archeologia ci permette di costruire il futuro perché il futuro può essere costruito soltanto partendo da una comunità consapevole della propria identità, della propria storia.
Ecco, questo è un grosso problema di Taranto. Aver smarrito una propria identità con la conseguente difficoltà a ricostruirsi.
Il problema di Taranto è stato quello di una città che aveva perso il proprio legame identitario, aveva smarrito la memoria del proprio passato. Anzi, quasi la rinnegava. Non va dimenticato che la città industriale aveva anche aggregato persone che arrivavano da ogni dove. Certo la città era stata trasformata in qualcosa d’altro in modo improvviso, ma il problema non è rimuovere elementi che fanno parte della storia di Taranto. Rispetto a cinque anni fa vedo tuttavia un cambiamento, vedo un grande lavoro da parte dell’amministrazione comunale anche sulla cultura. In questo periodo non c’è città d’Italia che abbia una programmazione di eventi come Taranto. Poi c’è la vitalità dell’associazionismo i sono giovani impegnati nelle arti creative, ci sono grandi eccellenze. C’è una voglia definitiva di rinascita e di unirsi per cambiare paradigma. Ecco, oggi si vede meglio una cabina di regia, una progettualità. Certo, il percorso è lungo. È importante però avere progettualità a lungo termine, non fermarsi solo all’immediato. Investire in ricerca e qualità dei servizi: qui c’è la possibilità di rilancio della città. È una grande sfida che Taranto ha davanti a sé.
Riusciremo a vincerla?
Secondo me, sì.
Anche a prescindere dalla presenza o meno del siderurgico?
Io vedo cose che stanno già avvenendo. Confido molto nella Zes, soprattutto se riuscirà a includere i settori dell’innovazione, dell’industria creativa e culturale. Sarebbe una Zes diversa da quelle che già esistono. Sarebbe una opportunità per dare un valore alla cultura associata al concetto di impresa e di formazione. Un ruolo importante può svolgerlo anche l’università.
Come procede la sua convivenza con Taranto?
Questa città mi ha accolto molto bene, non mi sono mai sentita forestiera. Appena arrivata ho preso la residenza qui perché credo sia importante essere cittadino e non solo abitante. Ho sempre avuto la sensazione di essere a casa e non lo dico in modo retorico. Questo territorio lo conosco fin da piccola perché qui venivo in vacanza con la mia famiglia. La Puglia è una regione che mi è sempre stata molto cara. Oggi mi posso definire tosco-tarantina. Taranto la sento la mia città.
Ha incontrato resistenze culturali?
No. Fin da subito abbiamo cercato di far percepire questo Museo come casa dei tarantini. Ricordo i primi eventi, i laboratori per bambini: grande adesione, grande partecipazione. Da quando il Museo è autonomo c’è stato un incremento di visitatori del 45-50%, +80% di introiti. Ma è importante che siano aumentati i tarantini e i pugliesi. Il paradosso di questo museo era di essere conosciuto all’estero e poco dagli stessi tarantini e dagli altri pugliesi. Questo è il museo di Taranto ma è il museo della Puglia.
Taranto punta sulla cultura, ma questa è una città dove ancora si buttano i materassi per strada…
Ho visitato tante città in tutto il mondo e ho visto città molto più sporche e caotiche, anche al nord. Più decoro nella coscienza individuale ci vuole senz’altro, dovremmo fare molto a partire dalle scuole come educazione al bene comune.
Dovremmo imparare ad amare di più questa città, non crede?
Quello che ho notato, ma ora questo fenomeno si sta stemperando, è proprio questo disamore per la città. In qualsiasi altro luogo c’è sempre grande orgoglio di appartenenza, anche dove ci sono problemi persino più gravi di quelli di Taranto. Anzi, se vogliamo, a Taranto si sta bene. Ho esempi di visitatori che restano così innamorati di questa città che addirittura vogliono comprare casa qui e nonostante l’immagine negativa che c’è di questa città. Purtroppo vedo che i primi ambasciatori negativi di Taranto sono i tarantini stessi. A volte noto quasi una vergogna di essere tarantini: non deve essere così. In altre città pur di parlarne bene viene negata persino l’evidenza. Credo molto nel ruolo che le scuole possono svolgere per cambiare questa mentalità: i bambini devono cominciare a cambiare la propria visione della città, bisogna far conoscere loro le ricchezze che ci sono e fare in modo che si sentano orgogliosi di essere tarantini.
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile