Aveva quattro desideri Gio Ponti. Nessuno di questi, purtroppo, è riuscito a realizzarsi. Eppure qualcosa si può ancora fare per rimediare alla scarsa riconoscenza che la città di Taranto ha manifestato, con una certa supponente ignoranza, nei cinquant’anni trascorsi dalla inaugurazione della “sua” Concattedrale. Cinquant’anni che ricorrono proprio in questo sfortunato 2020. A dire il vero ci si stava preparando per celebrare degnamente una creatura artistica e architettonica celebrata all’estero e così poco amata proprio a Taranto.
Quali erano, allora, i quattro desideri, rimasti non esauditi, del grande architetto e designer milanese? I primi due erano di carattere estetico-urbanistico. Gio Ponti voleva la sua cattedrale aggredita dal verde. La voleva silvestre. Perché il verde delle nostre campagne doveva essere il colore complementare del bianco dei nostri centri storici che tanto lo avevano ispirato nella progettazione della chiesa. E il bianco e il verde sono infatti i colori di quella che monsignor Guglielmo Motolese, ispiratore e committente dell’Opera, voleva diventasse il centro spirituale della nuova Taranto, quella città che in quegli anni viveva il sogno della grande espansione industriale. Ponti immaginava alberi e piante ad abbracciare la sua inconfondile vela. È finita con il grigionero di asfalto e cemento, una colata sulla quale si è infranto il secondo sogno di Gio Ponti: far sorgere intorno alla Concattedrale altri edifici, nello stesso stile, che ospitassero attività culturali, scuole, teatro, abitazioni sì popolari ma di pregevole architettura, oltre alle sedi di Curia ed Episcopio. Aveva immaginato un vero e proprio piano urbanistico per quell’a rea che, se si fosse sviluppata così come era stata pensata, sarebbe diventata una attrazione mondiale per studiosi di arte, architettura e turisti.
Gli altri due sogni di Gio Ponti erano legati più alla sua sfera spirituale ed emozionale. Si era così innamorato del suo lavoro su Taranto che avrebbe desiderato che la sua sepoltura fosse proprio all’interno della Concattedrale. Un privilegio del quale, per svariate ragioni, non ha potuto godere.
L’ultimo desiderio, almeno dopo la sua morte, lo si può ancora realizzare: Gio Ponti voleva diventare tarantino. Ha anelato alla cittadinanza onoraria che fino ad oggi non gli è stata concessa. Tutti dettagli, questi, che emergono dal carteggio epistolare tra l’architetto e monsignor Motolese, gelosamente custodito dal professor Vittorio De Marco, direttore della biblioteca arcivescovile e autore del volume di prossima pubblicazione che appunto svelerà l’intenso scambio di lettere intercorso tra il progettista e il suo “protettore” arcivescovo. Ponti confessa questo suo desiderio a Motolese in una lettera dell’1 settembre 1971: «Voglio essere ricompensato diventando cittadino onorario di Taranto». A dire il vero il conferimento della cittadinanza onoraria a Gio Ponti era tra le iniziative previste per celebrare i cinquant’anni della Concattedrale, inaugurata il 6 dicembre 1970. Poi il Covid ha complicato i piani e il cartellone degli eventi subirà inevitabili modifiche. L’auspicio è che si proceda senza indugio al conferimento della cittadinanza onoraria, scavalcando ogni possibile ed eventuale intralcio burocratico.
Non solo. Gio Ponti merita molto di più. Merita di essere ricordato adeguatamente anche nella toponomastica cittadina. E allora, perché non intitolargli proprio il piazzale che ospita le vasche e sulle quali si affaccia la Concattedrale? In una toponomastica che negli anni si è arricchita di scelte anche piuttosto bizzarre, questa sarebbe finalmente una opzione sensata per valore della personalità in questione e per il significato del luogo prescelto.
Per quanto riguarda gli altri eventi celebrativi, è già in avanzata fase di allestimento la mostra che a dicembre sarà inaugurata al Museo Diocesano e nella quale saranno esposti disegni originali, arredi sacri e filmati d’epoca. Non si terrà, causa Covid, il previsto convegno internazionale di studi, del quale, però, saranno pubblicati gli atti. Poi resta il nodo delle vasche: va restituito decoro ad uno degli elementi più originali e più maltrattati del progetto. Da qui a dicembre mancano due mesi: c’è il tempo per conferire a Gio Ponti gli onori che gli abbiamo negato in questi cinquant’anni, gli onori dovuti ad un grande uomo che ha donato a Taranto una delle più grandi opere artistico-architettoniche del Novecento.
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile