La mutazione genetica del M5S sotto
la guida del capo politico Luigi Di
Maio non deve sorprendere.
Ci sono
almeno tre elementi, tutti recentissimi,
indicativi del cambio di rotta.
Il primo: l’incontro a porte chiuse,
in un club esclusivo di Londra, del
candidato premier con un gruppo di
rappresentanti dei maggiori fondi
di investimento internazionali. Una
eresia per un partito che aveva fatto
degli slogan contro le oligarchie finanziarie
e contro i vari Bilderberg
uno dei suoi punti di forza.
Il secondo: la dichiarata disponibilità
del M5S a governare con
altre forze politiche sulla base di
convergenze sul programma. Uno
smacco per quanti ricordano gli
sbertucciamenti in streaming dei
grillini e di Grillo in persona nelle
consultazioni con i vari Bersani,
Letta, Renzi. Sembra trascorsa
un’era geologica da allora.
Nel
frattempo è sparito lo streaming e
sono tramontate le ambizioni di una
maggioranza assoluta pentastellata.
Il terzo: la brusca inversione di
marcia sul destino dell’Ilva. Ora
non più da chiudere, ma da tenere
aperta – come ha esplicitamente
detto Di Maio a Taranto – sebbene
a fronte di un cronoprogramma di
interventi con obiettivo di conversione
e bonifiche. Uno shock per
i duri e puri a cinquestelle che da
quando è esplosa la vertenza sul
siderurgico più grande d’Europa ne
hanno sempre urlato la condanna a
morte.
A ben vedere, non si tratta più
di uscite isolate, estemporanee. No.
Luigi Di Maio, il “democristiano
digitale”, come qualcuno l’ha ribattezzato,
ha una precisa strategia:
accreditare se stesso e il partito di
cui è capo, come entità affidabili
agli occhi dei centri di potere che
contano, in Italia e all’estero. Eccola
allora la metamorfosi genetica
del M5S: da movimento destabilizzante
e anti-sistema, a partito che
punta al governo e a garantire la
governabilità. Per realizzare questo
disegno Di Maio ha compreso che
deve rassicurare diverse platee, in
Italia e all’estero. Anche a costo
di lasciare per strada i pezzi più
oltranzisti di quella piazza che in
questi anni ha nutrito di “vaffa” la
propria rabbiosa protesta.
Fin qui le scelte politiche.
Poi si è aggiunta la grottesca vicenda
delle finte donazioni per il microcredito.
Nulla di disonesto di fronte
alla legge, ma un miserabile inganno
nei confronti dei propri elettori.
Una macchietta alla Totò e Peppino
quella dei bonifici prima disposti –
con tanto di screenshot sul web – e
poi revocati. Evidentemente non è
poi così difficile lasciarsi sedurre da
quei privilegi della politica contro
i quali si è strombazzato per anni.
Bandiera ammainata, dunque, anche
sulla pretesa superiorità etica
e morale per diritto d’appartenenza
al Movimento. Agli irriducibili
integralisti pentastellati non resta
che un appiglio a cui aggrapparsi:
“Sì, ma gli altri…”. Un po’ pochino
per chi voleva creare un altro
mondo e si scopre parte naturale
di quel mondo che invece voleva
distruggere.
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile