Con questo governo di centrodestra è emerso uno strano vezzo. Abbastanza diffuso. Per alcuni versi, non biasimevole e contraddittorio in rapporto alle regole della democrazia praticata. Un vizietto che, tuttavia, infastidisce se generalizzato, così come è naturale che sia il risultato orticante dell’essere chi ha perso sonoramente le elezioni. Troppi i divenuti fans della Meloni, annoverati persino nelle file della sinistra più autenticamente popolare.
Per altri versi, contrapposti ai soliti duri e a chi è specialista nelle riottose contrapposizioni da radical chic, giusto per rimanere il più possibile sull’onda. Meglio, in onda. Alla mia età (72 anni a marzo) ho imparato finalmente a giudicare su due schemi. Quello di dare, sempre e comunque, ragione al popolo che sceglie, chiunque esso sia. Quello di distinguere i giudizi sui fatti altrui diversificandoli sulla base della ratio delle scelte, divenute tali sul piano legislativo. Specie, relativamente alle riforme strutturali approvate, tenendo però conto di quelle mancanti, seppure occorrenti. Il tutto tenendo oggi nel dovuto conto il prezioso insegnamento di un mio caro maestro, un grande e onesto sindaco. Ho impiegato tanto tempo, troppo, a fare mio il suo suggerimento di considerare la migliore parola da mettere in campo, per l’appunto, quella mancante. Peccato non avergli ubbidito da subito, me ne pento seriamente! Ebbene, proprio sulla base di quanto appena rilevato, devo dire che, pur rimanendo convintamente comunista, spero, non sciocco: riconosco come mio Governo quello scelto dalla nazione, prescindendo dal mio non voto; apprezzo l’impegno dell’Esecutivo sulla giustizia e sulla politica degli interni che ha portato alla cattura di Messina Denaro. Aspetto di giudicarlo nei fatti, a seguito di una legge di bilancio che esprime prevalentemente le idee di Mario Draghi, riguardanti soprattutto: una tutela della salute che non c’è più da tempo, le politiche del lavoro che capottino la disoccupazione, il welfare state al lordo delle regole sostitutive del reddito di cittadinanza, il progetto della nuova istruzione e quello dei trasporti locali da sottrarre alle macerie. Senza contare gli investimenti sulla precarietà idrogeologica. Il vero tema, ma di effetto reale e senza platea televisiva.
Su tutto, proprio alla luce delle importanti esperienze Riina e Messina Denaro distruttive di Cosa nostra, il Governo dovrà misurarsi sulla bonifica del Paese dalle mafie, con particolare riferimento alla ‘ndrangheta. Con questo dovrà sottrarre la Nazione dalla loro invadenza, dal loro dominio, dal loro effetto cancerogentico. Una volta per tutte necessiterà intervenire con la consapevolezza che esse sono divenute, a tutti gli effetti, classe dirigente, che (ahinoi!) domina le istituzioni, la politica, l’economia, la società e il mercato. Essa è così divenuta parte dominante dell’establishement all’interno del quale difende il suo primato in graduatoria, esercitando la violenza, oggi più dei numeri che di quella fisica, a tutti i livelli di suo interesse economico-finanziario, diretto e indotto. Un potere sempre più esercitato a livello nazionale, che comprime inesorabilmente il sistema delle imprese e la vita della nazione intera, tale da compromettere negativamente l’esistenza della società intera. Sino a quando sarà consentito alle mafie – con la ‘ndrangheta su tutte – di essere espressione del potere egemonico, quasi a presentarsi inconcepibilmente alla pubblica opinione come un ceto “elitario” con i miliardi di euro ficcati chissà dove, la società è destinata al peggio. Da qui, un Governo che sappia andare oltre l’arresto di Messina Denaro. Che voglia e sappia debellare le mafie, nelle sue diverse declinazioni, non stragiste ma violente oltre ogni misura, impeditive dell’esercizio delle libertà economiche e private delle persone. Che impari a fare ciò a prescindere dai nomi eclatanti e non televisivamente protagonisti ma resisi da decenni primi attori di terrori quotidiani inenarrabili. Da questa azione generalizzata, meglio dalla sua efficacia sarà giusto misurare il valore e la capacità del Governo, al punto da far combaciare le ragioni di chi lo ha votato con quelle sopravvenute nell’attribuirgli il più meritato consenso. Altrimenti, tutto come sempre.