Il 93% dei Comuni conta meno di 20.000 abitanti, coprono una superficie del territorio pari all’80% del Paese. Ci vivono oltre 27 milioni di italiani, circa il 60% della popolazione italiana. Molte di queste realtà sono classificate Italia “interna” che ha subito una progressiva marginalizzazione. La popolazione residente è diminuita, così come il livello di occupazione e l’offerta di servizi. Processi che si sono accompagnati ad altri di particolare gravità, come il dissesto idrogeologico. La ricorrente combinazione, di due variabili fondamentali, è caratteristica di queste realtà: l’invecchiamento della popolazione e il livello del reddito personale.
Una percentuale di residenti con più di 65 anni di età maggiore della media nazionale e con redditi inferiori alla media. La concentrazione delle situazioni di minor favore si colloca nel Sud e nelle Isole. L’offerta educativa e la sua stessa qualità è spesso compromessa dalle difficoltà di spostamento e dalla tendenza alla forte mobilità degli insegnanti. Oltre l’80% non ha nessuna scuola superiore statale, Il 39% non ospita neanche una scuola media. Sono i territori che si caratterizzino per una maggiore dispersione scolastica e per livelli di apprendimento significativamente più bassi. L’offerta di servizi rivolti ai minori è decisiva, soprattutto quando non offre le competenze per decidere in autonomia se andarsene o restare, gli strumenti che consentano di restare dove sono nati. Mezzogiorno Federato considera il policentrismo e la ricchezza paesaggistica italiana elementi importanti da sfruttare, attraverso una visione sistemica e pattizia, per una ripianificazione che valorizzi piccoli e grandi centri con la creazione di reti che mettano in collegamento città e campagna, centri storici e periferie, distretti economici e risorse locali del territorio. Dalle metropoli ai borghi con poche anime, deve esserci “una sola Italia, con servizi uguali per tutti e diritti uguali per tutti”.
Questa frase di Giorgia Meloni, pronunciata davanti ai sindaci dei Comuni sotto i 15 mila abitanti, assume il peso di un avvertimento a chi fin qui ha più spinto per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. L’obiettivo è quello di cancellare la sensazione del via libera a forze centrifughe in favore dei territori più ricchi. Non è pensabile che i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) siamo distanti una enormità da quelli del centro Nord del paese; è inaccettabile che il reddito pro capite in Sicilia si attesti su un valore di 17.400 €, al centro Nord superi 32.000 € e in Lombardia raggiunga anche il valore di 40.000 €. Non si parla quindi di autonomie differenziate senza prima risolvere precise emergenze e criticità rimaste quasi invariate per tanti anni. Altrimenti significa degradare in modo irreversibile l’assetto socio economico del sud, esasperando al tempo stesso le distanze anche tra le regioni. Qualsiasi iniziativa in tal senso, qualsiasi itinerario normativo sarebbe un atto di irresponsabilità politica. Va quindi ribadita l’urgenza di raggiungere i livelli di omogeneità accettabili prima di affrontare ogni azione che escluda ulteriormente le potenzialità di crescita dell’intero mezzogiorno. Il protagonismo del Mezzogiorno è reso più urgente e necessario dalla crisi che stiamo attraversando, che parte dalla constatazione del fallimento del Regionalismo a 20.
Ma questo non comporta il fallimento della scelta regionalista affermata dalla Costituzione. Si è consumato, nella esperienza ultra cinquantennale, un modello organizzativo e strutturale definito in una fase profondamente diversa e non accompagnato, nel corso degli anni da una consapevole ed adeguata azione di riforma. Soprattutto le Regioni del Mezzogiorno debbono, in modo organico ed unitario, comprendere questo vuoto gestionale che ha compromesso la crescita dell’intero mezzogiorno e debbono al tempo stesso, ammettere la miopia con cui hanno gestito il complesso processo programmatico che dal 2014 ha offerto al sud tante occasioni per il suo rilancio: tutte occasioni perse perché è mancata la lungimiranza politica ed il coraggio di rivendicare i propri diritti e la gestione federata di poteri, competenze, risorse. La ricomposizione dell’unità del Paese; la costruzione del nuovo sistema delle autonomie; la competitività e l’efficienza nel governo delle risorse umane e del territorio; la lotta alle diseguaglianze come priorità qualificante; tutto questo deve essere la materia di un movimento di popolo che sia protagonista della rinascita della Nazione nelle sue autonomie e nella sua identità: italiana, europea, mediterranea. Questo movimento deve nascere nella trasversalità delle convenienze politiche, nella diversità degli insediamenti territoriali e degli interessi; nella pluralità delle esperienze culturali e sociali. Deve nascere dando al risveglio in atto nella coscienza popolare del Mezzogiorno, valori ed obiettivi per i quali mobilitare energie e volontà del Mezzogiorno riformatore. Ne discuteremo nel Consiglio Nazionale convocato a Roma il prossimo 11 febbraio.