Che cosa si attendono i tarantini dal “nuovo” governo, il Conte II? Desideri molti, moltissimi; attese concrete poche. Taranto soffre di una terribile emergenza, legata al suo polo industriale lasciato colpevolmente andare in abbandono e cinicamente affidato a chi ha sfruttato la sua più grande industria senza reinvestire una lira prima, un euro poi, in manutenzione, ambientalizzazione, ricchezza del territorio. Anzi, eliminando via via le ditte locali dagli appalti, strozzandole con pagamenti ritardati, riducendone alla fame titolari e maestranze. Sì, parliamo dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa, già Italsider, poi Ilva, ora affidato ad Arcelor Mittal.
Questione ambientale, intanto: i precedenti non fanno ben sperare, nelle loro precedenti esperienze di governo tanto il Pd, prima, quanto i 5 Stelle, dopo (questi ultimi tradendo proclami ed attese), hanno mostrato di anteporre le ragioni della produzione e della strategicità per l’intera economia nazionale, e non solo per il comparto manifatturiero, del polo siderurgico tarantino rispetto a quelle della salute dei Tarantini e della salvaguardia del territorio. Il Pd, come è noto, emetteva decreti a raffica per salvare l’Ilva e tutti i suoi amministratori e gestori dalle conseguenze penali delle loro azioni; il M5s, dopo molto frastuono, si è accorto nei suoi 14 mesi di governo (con Di Maio allo Sviluppo economico, oltretutto) che i salva-Ilva non si potevano toccare, o che comunque era meglio non toccarli. Sulla proroga dell’immunità penale si è giocata una commedia degli equivoci: lavoratori, ambientalisti, medici, cittadini di Taranto aspettano di vedere come si concluderà. Non solo e non tanto per l’immunità in sé quanto per i provvedimenti da adottare, che non possono limitarsi alla pur utile, necessaria e giunta in ritardo di decenni copertura dei parchi minerari.
La seconda emergenza, dopo quella legata a salute ed ambiente (un capitolo a sé è quello delle bonifiche: come si può pensare di bonificare i Tamburi lasciandone gli abitanti sul posto?), è quella lavorativa. Come osservava il da non molto scomparso Emanuele Papalia, già presidente della Camera di Commercio e poi del Consorzio Asi, se è vero che in una città con una altissima concentrazione industriale l’inquinamento non è cosa da accettare fatalisticamente ma almeno è comprensibile, avere anche una percentuale altissima di disoccupazione non lo è. Fra occupazione diretta ed indiretta (ditte dell’appalto e fornitori), Mittal, che già in partenza aveva graziosamente ottenuto un forte taglio occupazionale, sta proseguendo nella decimazione, rafforzando le motivazioni di quanti chiedono, senza alternative o piani B, semplicemente la chiusura della fabbrica: gli occupati diretti sono pochi e diminuiscono, le ditte dell’appalto vengono lasciate andare in malora, non c’è più neanche l’alternativa tra morire di fame e morire di inquinamento, si muore di fame e di inquinamento. Senza politiche concrete di salvaguardia del lavoro che c’è (la riduzione del cuneo fiscale, anche se ancora nebulosa, sembra convincere ambo i contraenti dell’accordo di governo; ma come la mettiamo con la richiesta, che era del M5s, di maggiori certezze e stabilità nei contratti di lavoro dipendente e, più in generale, nel Diritto del lavoro?), ma soprattutto di creazione di nuovo lavoro, l’ipertrofica Taranto, già colpita da decremento demografico, muore.
Il M5s aveva nel programma elettorale, e ci stava tornando in luglio, in vista poi della manovra autunnale, la creazione di una “Banca del Mezzogiorno”, ovvero di un (nebuloso) nuovo soggetto finanziario a cui toccherebbe spingere gli investimenti nelle aree più svantaggiate del Sud. Anche perché le banche del Sud sono state fagocitate e fatte scomparire da istituti creditizi del Nord: resistono, male, solo alcune popolari tutte, chi più chi meno, alla affannosa ricerca di partnership che consentano loro, per il tramite di aggregazioni, di utilizzare le norme inserite dal governo precedente per rafforzare i loro ratios patrimoniali oramai sottosoglia e un po’ più di banche di credito cooperativo, anch’esse vittime di una riforma bancaria voluta da Renzi che ne ha minato fortemente l’identità, l’indipendenza e lo scopo mutualistico; il che rende improbabile – col Pd che torna al governo – un cambio di rotta. Emergenza lavoro, quindi, e richiesta pressante del pagamento delle spettanze arretrate a ditte dell’appalto e fornitori, per quanto riguarda il complesso siderurgico.
Poi c’è la Zes, Zona economica speciale, che fa perno su Taranto e sul suo porto, ingloba Francavilla Fontana ed include la Basilicata. Il decreto istitutivo è stato firmato solo il 5 giugno da chi allora era al ministero per il Sud (ministero senza portafoglio che non si sa se continuerà ed esistere), la 5 Stelle Lezzi. La Zes prevede agevolazioni fiscali e semplificazioni amministrative per gli operatori economici del territorio. In precedenza, il ministero aveva disposto l’istituzione di un fondo da 300 milioni per le imprese che vogliono insediarsi nelle Zes (tutte, non solo in quella di Taranto…), la sospensione dell’Iva e lo snellimento delle procedure burocratiche. Un impegno che gioverà anche ad un settore assai importante per l’economia e la società joniche, quello dell’agricoltura, e che ha forti possibilità di essere portato avanti.
Come il Cis, Contratto istituzionale di sviluppo, che include interventi di ammodernamento del porto di Taranto (che impegnano la maggiorparte delle risorse stanziate) nonché per bonifiche ed ambientalizzazione e per la realizzazione del (controverso) nuovo ospedale San Cataldo: per il radicamento politico e la vocazione più meridionalista della compagine giallo-rossa, probabilmente l’impegno per il Cis sarà più incisivo. E i forse sarà possibile recuperare i ritardi finora registrati. E ancora: al di là di infrastrutture e strutture specificamente sportive legate ai Giochi del Mediterraneo 2026 assegnati a Taranto, c’è una questione di infrastrutture soprattutto di trasporto che è nodale: dalla riqualificazione ed apertura a voli di linea dell’aeroporto di Grottaglie al potenziamento dei collegamenti ferroviari da e per Taranto (inclusa la valorizzazione della rete già Sud Est, oggi pienamente integrata nelle Ferrovie dello Stato). Per non dire di progetti di viabilità fermi da anni e decenni (e non ci riferiamo solo alla quasi utopica prosecuzione dell’autostrada da Massafra-Taranto a Sibari che riconnetterebbe la Puglia alla Calabria, ma anche a cose più modeste, ma nondimeno necessarie, come la Taranto-Avetrana).
E a proposito di strutture ed infrastrutture, Taranto aspetta – e il fatto che al Miur non ci sarà più un leghista potrebbe aiutare – interventi indifferibili in cultura, scuole, Università e ricerca. A partire dalle scuole – mancano aule, c’è fame di aule e di dotazioni; spesso gli stabili sono fatiscenti o ci sono sedi di fortuna, che variano anno per anno – per arrivare all’Università (tranne la ex caserma Rosaroll, le altre sedi sono in condizioni abbastanza disagiate, e i corsi sono ancora troppo pochi, complice una normativa che penalizzava fortemente le sedi decentrate degli Atenei), senza dimenticare il ritorno a Taranto di una Soprintendenza, scippata da Franceschini ma che i 5 Stelle avevano promesso di ripristinare, si tratta degli interventi forse meno appariscenti ma davvero strategici, si tratta di investire infatti sulle giovani generazioni. Senza le quali per Taranto non c’è futuro, ma nemmeno presente. Un disarticolato libro di sogni? No. Una minimale rassegna di cose da fare, tutte abbastanza urgenti. Alcune complicate e difficili (anche perché forse non grate alle due forze politiche), altre più semplici da realizzare. Per dirla con mons. Filippo Santoro, nella sua duplice veste di arcivescovo metropolita di Taranto e di presidente della Commissione per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace della Conferenza episcopale italiana, “il tema ambientale deve essere prioritario, insieme al tema sociale. Qualunque sia il governo, non può ignorare questo duplice aspetto. E non può ignorare lo squilibrio che esiste tra Nord e Sud, che nuoce a tutto il Paese. Nella settimana sociale dei cattolici italiani – spiega – abbiamo indicato tante buone pratiche nel Sud che oggi chiedono di essere sostenute con grandi investimenti, per favorire appunto il sorgere di buoni progetti”.
Molte cose dipenderanno dal programma di governo che i due partiti elaboreranno. Basterebbe intanto – per Taranto e per il Sud in generale – che in attesa di un intervento straordinario aggiuntivo e non sostitutivo nel programma fosse riportato un numeretto magico: 34. E’ la percentuale di abitanti del Mezzogiorno, e nella spesa ordinaria al Mezzogiorno – come ricorda Lino Patruno – bisognerebbe destinare il 34% del totale. Il che da molti anni (e non solo per “colpa” della Lega) non è.
Ancor più le cose dipenderanno dai ministri e dai sottosegretari che saranno chiamati a gestire quel programma. E dalla capacità degli amministratori locali e della classe politica locale di interloquire e collaborare con l’esecutivo.