I l diritto all’oblio è un diritto dell’interessato. Per inquadrarlo al meglio sotto il profilo giuridico, appare utile riportare uno stralcio tratto dal sito del Garante per la privacy italiano: “Il diritto cosiddetto “all’oblio” (art. 17 del Regolamento) si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata.
Si prevede, infatti, l’obbligo per i titolari (se hanno “reso pubblici” i dati personali dell’interessato: ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi “qualsiasi link, copia o riproduzione” (si veda art. 17, paragrafo 2 del Regolamento). Regolato dall’articolo 17 del GDPR, il diritto all’oblio è dunque un diritto dell’interessato per cui la persona fisica può ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano. Il Regolamento prevede che la cancellazione avvenga “senza ingiustificato ritardo” e impone al titolare del trattamento l’obbligo di cancellare i dati personali se, per esempio, non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati, se l’interessato ha revocato il consenso al trattamento o se i dati sono stati trattati illecitamente. Si è iniziato a parlare di diritto all’oblio prima in dottrina, in giurisprudenza, dunque prima ancora che fosse codificato. Il diritto all’oblio nell’Unione Europea, infatti, è stato riconosciuto con una sentenza della Corte di giustizia del maggio 2014 in una causa molto nota: il caso Google Spain. Si tratta di un giudizio intentato da un legale spagnolo che non voleva più vedere associato su Google il proprio nominativo a una notizia risalente a una decina di anni prima, relativa a una procedura di esecuzione forzata di cui era risultato soggetto passivo. In prima battuta il soggetto si era rivolto all’Autorità Garante per la protezione dei dati del suo paese, ottenendo la prima decisione in cui un Garante ordina al motore di ricerca di procedere al “delisting”, cioè alla rimozione dei dati dall’indice del motore di ricerca.
Tale evenienza costituiva una primizia assoluta e ciò in quanto Google, anziché chiedere la rimozione dei dati personali al sito fonte, diventava esso stesso oggetto di una richiesta di rimozione di informazioni. Oltretutto si trattava di informazioni assolutamente corrette. Non si trattava di contenuti illegali, ma di informazioni lecitamente pubblicate e fattualmente corrette, pubblicate per adempiere a un obbligo di legge. Infatti, la pagina di cui era stata chiesta la deindicizzazione era la pagina di un quotidiano spagnolo che, nella versione cartacea, aveva pubblicato degli estratti degli annunci dei tribunali fallimentari. A distanza di anni, lo stesso giornale aveva provveduto a digitalizzare il proprio archivio. Nel farlo, aveva digitalizzato anche la pagina in cui compariva l’informazione che comunicava come gli asset dell’istante fossero stati sottoposti a sequestro. Nel 2014 dunque veniva per la prima volta stabilito che il motore di ricerca diventava titolare del trattamento dei dati personali delle pagine che indicizza e che i soggetti possono rivolgersi direttamente ai fornitori del servizio di motore di ricerca per chiedere una cancellazione.
È stata una decisione davvero dirompente per Google, in tal senso si osservi che dalla decisione della Corte di giustizia in poi – quindi dal 2014 – Google ha ricevuto oltre 1 milione di richieste di rimozione per diritto all’oblio, per un numero di URL che si avvicina ai 4 milioni. Il diritto all’oblio assume ancora oggi natura prettamente territoriale. Questo è il motivo per cui, storicamente, Google ha sempre rimosso contenuti dalle versioni locali del proprio sito web, tranne casi molto particolari ed eccezionali. La prima grande eccezione è quella che riguarda i Paesi dell’UE e questo ha portato Google a scegliere di dare attuazione al delisting (la rimozione) per diritto all’oblio su scala europea, quindi in tutti i paesi dell’Unione Europea e anche nei paesi dell’area EFTA – Svizzera, Islanda e Norvegia – poiché hanno dei sistemi giuridici che seguono la normativa privacy dell’UE.
Per informazioni e contatti scrivi una e-mail all’indirizzo: avv mimmolardiello@gmail.com